E'
meglio farsi una buona risata o una bella, infuocata notte d’amore ?
Per essere buone e belle anzitutto bisogna
essere in due, poi ci vuole
tanta predisposizione, e comunque è una bella
impresa. Entrambe
fanno
bene, al fisico e al morale: dicono che ridere tanto allunga la vita,
scopare tanto stanca ma è decisamente
rilassante. Tranne che quando
ci riempiono di troppe nozioni o, peggio
ancora di tabù, veri o presunti
che siano: una volta si diceva "Attento a
non prendere lo scolo!!", che
uno stava sempre bene all’erta a non portare
l'amica in prossimità di
una grondaia ed era sempre molto attento alle
previsioni del tempo.
Oggi
si avverte che prima della fine del mondo ci saranno milioni di morti
di
AIDS, il che come deterrente non è male. Ma soprattutto, perchè ogni
cosa
riesca alla perfezione, bisogna trovare...il punto G del partner.
Trovato
quello hai fatto BINGO! Immaginatevi tanti spermatozoi vestiti
da
giullari che ballando e cantando, ebbri di felicità, si travasano dall'uomo
alla donna. Succede questo!
Altra
ricetta per la felicità è stare seduti a un tavolo, davanti a un buon
bicchiere
di Chianti, e sentire cazzate dal vostro amico più simpatico:
vi
alzerete dal tavolo con un non so che di sazio, convinti di aver raggiunto
il
diapason di un momento irripetibile. E senza neanche esservi impazziti a
trovare
il punto G.
Beh, a farvi ridere posso aiutarvi anche io,
per la scopata, magari, guardatevi
in giro...
Già
dal 1958 una certa Merlin decise di buttare le chiavi di tutte le case, quelle
chiuse, in un tombino. Il motivo? Gli Italiani
troppo egoisti e soprattutto sbrigativi
si preoccupavano molto poco della felicità
delle partner, fossero loro occasionali
o quelle che ti presentano appena metti il
naso dentro casa la lista delle bollette.
Non
c'era allora molta preoccupazione per il punto G; ci si preoccupava molto di
più
del punto di ristoro, il bar più vicino, dove spedire il marito già in ciabatte
a
prendere
il latte che era finito. Smoccolando, il marito si rimetteva mocassini e
cappotto
e scendeva per la funzione che gli toccava un giorno sì e l’altro pure.
Andava
avanti così da anni e non c'era una volta che lui tornando, chiedesse prima
di
svestirsi e mettersi alla televisione se serviva il latte o lei glielo
anticipasse
per telefono!
Magari
ci si preoccupava anche di dove fosse il punto di raccolta dell'immondizia
perchè
anche quello è un obbligo matrimoniale che il marito deve assolvere pena la
nullità
del sacramento. Insomma, motivi di stress ce n'erano anche allora. Quando
poi si
arrivava alla fine della giornata, a quei tempi, era il marito in quanto tale
che
doveva armarsi di spartito e convincere la
moglie a concedersi; per la donna era
disdicevole. Stanca e con i bigodini in testa
la consorte si prestava all'opera perché
all’epoca non sottostare era disdicevole e,
orologio alla mano, dopo un paio di
secondi
cominciava a gemere: mugolii indistinti, lasciati volutamente così quasi a far
intendere la noia della solita minestra, ma che rappresentavano anche
il tifo per il marito al lavoro. Nessuna di
loro è mai arrivata a fare la OLA
in questi frangenti e questo la dice molto
lunga su come a quell' epoca
si fosse distanti dal pensare al punto G. Ma
poi perchè il Sig. Rossi si
sarebbe
dovuto preoccupare, proprio lui, di trovarlo? Prima di lui ci avevano
provato
Churchill e Eisenhower, non congiunti insieme nella stessa alcova,
ci
mancherebbe, e si erano arenati nel D day: una carneficina...Tre lettere
e ci sarebbero arrivati. Il mese era quello
buono, giugno, primavera inoltrata,
la
stagione degli amori, ma le dune di quella spiaggia erano troppo mal frequentate
per
concedersi il relax necessario.
In
quel lontano 1958, Berlusconi suonava in un'orchestrina nelle balere di
Milano.
Fu il Cerutti che un po' per scherzo, un po' per coglionarlo, gli cominciò
a
parlare del punto G. Erano i primi anni del 1960, l'epoca del boom economico
e
Berlusconi, che già allora si sentiva il primo della classe, nel sentirlo
parlare
percepì
profumo di affari. Cominciò a disegnare G dovunque, fu cacciato dalla
balera
perchè fu trovato a scolpire una G
gigante nel muro mentre col martello
nella
mano sinistra calava mazzate furiose dicendo "Perchè non godi?".
Aveva
strappato
tutte le pagine del vocabolario salvando solo le parole con la lettera
G
iniziale, ma senza trovare la chiave esatta del significato. Così andava avanti
per
tentativi. Bluffava spudoratamente già da allora, raccontava di sapere tutto
sul
punto G, ma una volta fu interrogato a fondo dal Cerutti: lui per G intendeva
le
iniziali di Giorgio Gaber, il suo creatore, ma l'altro si incaponiva che invece
G
stava
per Governo, che lui era stato unto dal Signore e aveva avuto delle visioni
premonitrici.
Accortosi del casino che aveva combinato, il Cerutti si diede da fare
per
cercare di farlo distrarre un po' e, anche per toglierselo dalle palle, gli
trovò
un posto nell'orchestrina di una nave da crociera che faceva il giro
del
Mediterraneo, con soste anche sul Gargano da dove era prevista una
gita a
Pietralcina, luogo santo residenza di Padre Pio.
Silvio
suonò svagato per tutta la crociera, intonava “Legata a un granello
di
sabbia” ma scivolava subito in "Quando quando quando", scimmiottando
di
brutto Tony Renis, di cui vantava l'amicizia e infarcendo la canzone di
riferimenti
politici
non meglio identificati (all'epoca). Arrivato a Pietralcina, dopo aver
vomitato
come una balena tanti cornetti a forma di G lungo i tornanti del
Gargano,
si sentì però improvvisamente meglio. Padre Pio era occupato in
faccende
molto più importanti che salutare un gruppo di persone in ciabattine
da
mare, prendisole e orchestrina, ma davanti a una mega statua in bronzo
del
Sant'uomo, il Berlusca rimase come folgorato: il sax cominciò a gemere
e,
dopo qualche minuto di trance, si risvegliò in piena crisi logorroica. A
chiunque
gli si faceva vicino raccontava di aver visto Padre Pio in maglia
rossonera
che con la mano gli faceva il segno V di vittoria, ma poteva essere
anche
un 2, poi il gesto cambiava in uno sfarfallio di suoni e colori e le mani
si
mettevano a forma di "cachet". Non pensando ad altro significato, interpretò
questo
come il simbolo della televisione. Improvvisamente apparve uno
stuolo
di angeli di colore azzurro che cantavano melodiosamente un inno:
lui
riuscì solo a captare le parole "Forza Italia", ma tanto bastava e
avanzava.
Un
istante prima di sparire l'immagine del Santo ormai sublimata, gli predisse
un
lifting, poi sparì.
Tornato
a Milano, Berlusconi cominciò a mettere mano al suo progetto.
Comprò
un agenda e ci segnò come prima cosa il punto di partenza:
il
famigerato punto G, poi pian piano si dedicò alla mappa di Milano e
alle
figurine dei calciatori Panini. Attaccava tutto quello che trovava al
riguardo
sull'agenda che ben presto divenne una pattumiera, ma non
aveva
finito. Non gli erano ben chiari i significati della canzone con le
parole
"Forza Italia", poi non sapeva assolutamente cosa volesse dire
lifting...Dall'inglese
to lift= alzare si iscrisse ad una palestra di sollevamento
pesi.
Continuava a non essergli chiaro soprattutto il perchè di tanta fatica
e
all'incertezza si era aggiunta anche una punta d'ernia che dolorosamente
si
ricacciava indietro con le dita: che fosse quello il punto G? Nel frattempo
passava
nottate a disegnare piantine di Milano e ad incollare figurine di
calciatori
del Milan, spostandoli sull' agenda come su un campo di calcio
e
immaginandosi allenatore, manager e massaggiatore.
Un
giorno si soffermò sulla periferia di Milano, una zona dove il verde
dominava
incontrastato: alla radio Celentano cantava a squarciagola
"Il
ragazzo della Via Gluck", ma non ne colse il significato. Telefonò
subito
alla sua amica Veronica, una bella ragazza che aveva conosciuto
dove
aveva comprato l'agenda e alla quale aveva chiesto consiglio su
quale
colore scegliere, per invitarla ad una partita di Monopoli. Come
sfondo
per il gioco aveva scelto proprio la periferia di Milano.
I
preparativi furono molto laboriosi: luci basse e colorate, a creare quell'
ambientino
da balera che lo stuzzicava tanto. Per fare l'effetto luce aveva
avvolto
le lampadine in fogli di tutti i colori, poi aveva riempito la colonna
del
giradischi di "Quando quando quando" in modo che finito il primo, ne
subentrasse
subito un secondo e così via fino a 9, aveva mimato le mosse
di un
coitus interructus e si era pulito le orecchie con il dito mignolo. Si era
a
lungo rimirato davanti allo specchio, dietro il quale alcuni faretti
diffondevano
una
luce a fascio a mo' di riflettore, aveva anche provato il gesto delle
corna
sulla sua testa, ma non ne rimase soddisfatto e decise che le avrebbe
fatte sulla testa di qualcun altro. Purtroppo,
mentre si dedicava a tutto
questo non si era accorto che la carta colorata con cui aveva
avvolto
le lampadine nel soggiorno aveva preso fuoco e
le fiamme avevano
già
distrutto una pila di dischi di Tony Renis. Prese l'estintore, trovò
un
elmetto e riuscì a spegnere l'incendio prima che le fiamme arrivassero
alla
preziosa agenda. Quando Veronica arrivò, si trovò davanti il sorriso
a 32
denti dell'amico che, tanto per vantarsi e fare colpo, gli disse con
enfasi:
"Oggi ho fatto anche il pompiere, ho spento un incendio che poteva
distruggere
Milano...". L'amica, che ormai conosceva quella sua aria da
gradasso
gli rispose per niente impressionata:"Ma dai su, che Milano è
solo
da bere..." Silvio interpretò questa esclamazione come un tacito
invito
a farsi un bicchierino e le versò seduta stante una grappa a 100
gradi
che lei bevve scambiandola per acqua: da quel giorno soffrì di
violenti
bruciori allo stomaco...
La
partita a Monopoli si rivelò noiosa: Silvio giocava più che altro ad
asso
pigliatutto: "Via Verdi" "Mia!!!", gridava esaltato;
"Vicolo corto"
"Mio!!!"
e finiti i soldi, forte di millantate coperture, li rubava dalla cassa.
Annoiata,
scelse un momento che Silvio, convinto di non essere visto,
appozzava
a piene mani dalla cassa e si slacciò due bottoncini della
camicia.
Ormai Berlusconi aveva comprato tutto e continuava a giocare
da
solo, lei si alzò, si scolò una Coca Cola bevendo dalla bottiglia e si
avvicinò
mellifluamente a Silvio strusciandoglisi addosso. Silvio era
ormai
in piena trance agonistica, comprava e vendeva senza sosta,
si era
portato vicino un blocco di carta dove scriveva domande di mutuo
a
banche immaginarie e si concedeva i prestiti da solo. Lei continuava
a
strofinarsi sul gomito di Silvio: poi a bruciapelo gli chiese: "Sai cos'è
il
punto G?" "Ancora!!!" pensò Silvio, ma all'improvviso si
rabbuiò:"Hai
visto
il Cerutti..."la apostrofò in malo modo. Era un ottimo sistema per
non
farsi scoprire del tutto all'oscuro su quella cosa e per farla sentire
in
colpa: lui stava lavorando! Impermalosita, lei gli si avvicinò e gli scodellò
tutto
il davanzale davanti, si sbottonò tutta la camicetta fino alla propria
indipendenza
economica facendogli intendere cosa voleva.
Suonò
il telefono: era Confalonieri.
"Passano
gli anni, ma otto son lunghi..." cantava Celentano. E qualche
annetto
passò anche per Silvio; Veronica aveva capito che in quell'uomo
c'era
qualcosa di buono, soprattutto vicino a quell'uomo c'erano amicizie
importanti.
Lei non li conosceva, si doveva fidare quando lui usciva la
sera
con sottobraccio un cappuccio e le diceva che era stato invitato ad
una
festa mascherata per soli uomini, ma lei aveva imparato ad amare
anche
le sue stravaganze e non dava loro peso più di tanto.
L'essenziale
era che a casa si mangiasse tutti i giorni e ci si potesse
anche
permettere qualche uscita la sera. Si erano sposati, lei non gli
aveva
più chiesto dove fosse il punto G, lui si infilava la sera sotto le
coperte,
consumavano con Silvio che inneggiava ansimante "Sì, sì,
...la
società dei consumi...", il sabato e la domenica facevano un picnic
ad
Arcore, attenti a non essere visti da "quelli della Villa" che non
avrebbero
gradito, nacquero dei pargoli e lì ebbe modo di apprezzare
per la
prima volta l'originalità del marito, quando si trattò di sceglierne
il
nome. Alla fine il ballottaggio fu tra Gieiar (letto come si scrive, dal
serial
Dallas) e Pier Silvio. Con tutta la dolcezza possibile, prese Silvio
da una
parte e gli manifestò le sue perplessità:"Gieiar proprio non mi piace,
vada
per Pier Silvio". E così fu.
Durante la settimana Berlusconi lavorava
come
impresario in un enorme cantiere alla periferia di Milano, la sera,
quando
non andava a qualche festa, aveva preso a frequentare insieme
all'amico
Confalonieri, tal Galliani da Monza, un tipo che con le antenne
televisive
sembrava ci sapesse fare. Silvio aveva un piano e lo manifestò
al
nuovo amico:"Senti, perchè le antenne che monti non le rivolgi tutte
verso
un punto, chiamiamolo punto G..., e da quel punto mandiamo noi
qualche
filmino? Pensa, gli Italiano potrebbero trovarsi “I magnifici Sette”
invece
del telegiornale, si divertirebbero di più e ce ne sarebbero grati...".
Galliani
si grattò l'enorme testa folta di capelli (!!!), ci pensò un attimo,
poi
gli rispose con lo stesso sorriso:"Si può fare, vada per il punto G".
Solo
allora il Berlusca si rese conto di come aveva chiamato quel punto,
ma lo
prese come portafortuna: in fondo tutto era nato da lì...
Gli
affari ormai andavano bene: il cantiere era finito e quella periferia di
Milano
dove aveva appena finito di costruire decise di chiamarla con la
consueta
originalità Milano 2, le antenne facevano il loro dovere e lui si
era
anche tolto lo sfizio di presentare qualche Televendita: gli avevano
detto
che il suo viso bucava lo schermo. Aveva venduto mobili in truciolato
al
prezzo di comò del '700 veneziano, aceti balsamici fatti con vino novello,
fiori
finti e croste antiche, insomma un profeta del marketing. Ma non si
accontentava
più: decise di mettere su una televisione.
Gli
inizi furono devastanti: Confalonieri dietro la macchina da presa con in
mano
il Ciak. Al quinto giorno di trasmissioni si presentò con la mano
sinistra
completamente fasciata e si decise di fare a meno del ciak a
vantaggio
di un più comodo e meno doloroso "Un, due tre..." scandito
a
voce. Gli ascolti erano buoni, ma mancava uno spazio per l'informazione
e la
signorina Buonasera. Si decise di continuare per un po' a lavorare
in
economia, si continuò a fare a meno del Telegiornale e si chiamò
Veronica
ad annunciare i programmi. Andò tutto liscio finchè lei non si
presentò
alla televisione allattando l'ultimo nato. Il centralino fu letteralmente
inondato
di telefonate di protesta che invocavano la tutela dei minori e il
padrone
della TV, cioè Silvio, fu condannato in giudizio sommario dal
giudice
Sante Licheri a chiedere scusa a tutta la sua platea di telespettatori
attraverso
un telegiornale. Ormai Silvio si sentiva pressato: doveva a tutti i
costi
inserire nel palinsesto dei suoi programmi un TG e non sapeva a chi
affidarlo.
Un aiuto gli giunse inaspettato. Fu invitato una sera a giocare a
poker
da un amico in un appartamento di Milano 2 trasformato in bisca
per
l'occasione: al suo tavolo il fido Confalonieri, Galliani e un certo Emilio
Fede.
Dopo qualche mano di assaggio, piatti piccoli, coppie e doppie
coppie
si arrivò ai fuochi d'artificio: Galliani si ritrovò con una scala minima
servita.
"Ottima per salire sui tetti e montare le antenne..."lo coglionò a
punto
scoperto Confalonieri che in mano aveva un full di sette con gli
otto,
ma non bastava per andare a vedere Emilio Fede e soprattutto
Silvio
che stava lì pensieroso con le cinque carte in mano a fissare il
piatto.
"Più 200" (mila) "Altre
200 (mila) per vedere il punto" gli rispose
Fede.
"Vedo il punto" disse infine il Berlusca. Fede calò il Poker di
Donne
una carta per volta, quasi sprezzante verso quel pivellino e
aspettò
a sua volta di vedere il punto dell'altro. Silvio con enfasi calò
prima
un sette, poi un dieci, poi un otto, un re e un asso. Messe insieme
valevano
meno di un due di briscola, ma lui esclamò sorridendo a 32
denti:
"Punto G". L'altro lo guardò chiedendosi se era matto o lo stava
prendendo
per il culo, ma Silvio si affrettò a declamare la scala dei punteggi
del
Poker: "Scala Reale, Punto G, Poker, colore, full, scala, tris, doppia
coppia,
coppia" e arraffò il piatto. Dovettero intervenire Confalonieri e
Galliani
al quale molti capelli furono strappati nella rissa che seguì per
portare
ordine. Ristabilita la pace, Fede volle le scuse e un indennizzo
e lì
scattò la molla del Berlusca: "Senta, ho saputo che lei conduce i
TG,
vuole condurre il mio, contratto illimitato marchette incluse,
s'intende?..".
Fede ne fu entusiasta.
Fede ne fu entusiasta.
Emilio
Fede si dimostrò subito un collaboratore validissimo. Esperto
conduttore
di TG era quello che ci voleva per dare il via all’informazione
alternativa,
qualcosa che uscisse dal solito minestrone della Rai cui tutti
ci
eravamo abituati. Alla lunga si rivelò anche un fedelissimo tanto che
su un
palinsesto fu, non si è mai saputo quanto erroneamente scritto,
Emilio
Fido e lui si incazzò tantissimo, scivolando a telecamere spente
anche
in luoghi molto comuni del tipo “Non si sputa nel piatto dove si
mangia”
oppure “Io faccio solo il mio dovere” facendo qualche confusione
tra il
dovere di cronaca e quello di prestare fedeltà a proprio datore di
lavoro.
Ma questo non è vero: Emilio Fede si affeziona visceralmente
a chi
comanda, lo segue ovunque e si mostra sempre condiscendente
con
lui. C’è chi lo vede come un pregio, chi come un difetto, ma lui è
fatto
così. “Sono della Juventus, ma il padrone è del Milan? Tifiamo
Milan…”
e via allo stadio tutte le domeniche, senza neanche preoccuparsi
di non
confondersi tra gli Ultras, ma sempre lì in prima fila, piove nevichi
o tiri
vento. Questa duttilità lo rende particolarmente utile, un jolly della
comunità,
e una sera che una velina aveva dato forfait a Striscia la
notizia
si prestò lui a prenderne il posto e riuscì così bene nell’impresa
che
non se ne accorse neanche Ezio Greggio.
Profondo
conoscitore di donne, lui sa benissimo cosa e soprattutto
dove
sia il Punto G, ma per una malcelata forma di pudore non lo dice,
lo
lascia intuire andando dal Nord al Sud del pianeta femminile:
”E’
tra i capelli e il ditone del piede”. A chi gli chiede notizie più precise
risponde
di sintonizzarsi sul suo TG e soprattutto di seguire i programmi
del
palinsesto: prima o poi qualcuno parlerà per lui e si sbilancerà.
Della
partita a poker che lo introdusse nella corte del Berlusca ha solo
qualche
piccolo ricordo: una manciata, giusto per il DNA, dei capelli di
Galliani
(ormai reperto storico), le carte di quella serata. Ha letteralmente
divorato
manuali sul poker per sapere se era valido il punto di Silvio e
alla
fine è giunto, più per deformazione che per consunzione del pensiero,
alla
conclusione che il Padrone ha sempre ragione,ergo ha avuto ragione
anche
quella volta. Qualche dubbio gli è venuto quando, in un’altra serata
a
Poker, si è trovato a scontrarsi con Galeazzi; gli era capitata la stessa
combinazione
di Berlusconi di quella sera contro un full di Re di Galeazzi,
guardò
il suo avversario, soprattutto lo soppesò poi disse “Cip!”, con la
stessa
innocenza con cui cinguettano gli uccellini a primavera. Galeazzi
lo
guardò, rimase incantato da tanta innocenza e gli lasciò il piatto.
Alle
donne piace proprio per questo: la sua innocenza apre dei trabocchetti
infiniti
per le ingenue che ci cadono dentro e lì lui diventa un rapace.
Indossa
il kimono, sorride a 32 denti come gli ha insegnato il corso
accelerato
in 12 lezioni sulla comunicazione, e lascia intravedere
anziché
il petto villoso la camicia rosa che ha indossato sotto per
perdere
meno tempo e non farsi trovare impreparato a un’ eventuale
Edizione
Straordinaria del TG, non si sa mai…Se arriva in fondo diventa
un
film a luci rosse, ma è un evento raro dato che Silvio e Gonfalonieri
lo
chiamano al cellulare in continuazione vuoi per andare a prendere
la
cena al fast food di Milano 2 vuoi per portare fuori di due dobermann
che
solo lui riesce a domare.
Berlusconi
ormai era lanciato: cominciò a giocare con le televisioni come
con il
Monopoli, le antenne montate da Galliani trasmettevano in continuazione
serial
e meno serial: Dallas, il TG, televendite, ancora Dallas, pubblicità,
ancora
Dallas, ancora pubblicità e via dicendo. Coniò Canale5, poi Italia 1
poi
Retequattro, si impossessò di Capodistria e ci mise dentro lo sport,
fece
di Retequattro una rete per famiglie e degli altri due i canali d’elite,
film,
giochi documentari. Le amicizie con Craxi e altri potenti del palazzo
fornivano
la migliore copertura a quella che lui ha sempre considerato una
missione:
dare agli Italiani quello che meritano; cioè donare divertimento
dopo
una dura giornata di lavoro e togliere loro più pensieri possibile. La
TV
deve essere un relax, infatti ecco aumentare le pubblicità con preferenza
per
quella del Mulino Bianco, ovvero quello che l’Italiano medio non riuscirà
mai a
fare: colazione seduto al tavolino ridendo e slimonando con la moglie
mentre
il cane accompagna i bambini a scuola. A ruota ecco i programmi
a
premi, dove per qualcuno che riesce a prendere la linea formando il numero
800…
ci sono milioni di Italiani medi che pagano 200000 lire di bolletta
telefonica
appena si innesca il disco dall’altra parte: ”Siamo spiacenti,
ma gli
operatori sono momentaneamente occupati. Vi preghiamo di
restare
in linea per non perdere la priorità acquisita…”e giù altra
pubblicità.
Insomma, un Bengodi dove grazie a lui tutti possono sognare
di
arrivare a qualcosa: Italia, il Paese delle opportunità. Ma non era
l’America,
quel paese? No, dopo Berlusconi. Come al solito sono le
frange
più deboli a pagare il dazio di questi sogni: L’Italia è piena di
Albanesi
e Rumeni che grazie alle antenne montate da Galliani hanno
captato
il segnale di Canale 5 e si sono fiondati in Italia con ogni mezzo
e
pagando qualsiasi cifra pur di fare colazione come al Mulino Bianco.
Purtroppo
la lingua è spesso una barriera insormontabile ed è bene non
fidarsi
mai delle sole immagini. Al loro arrivo in Italia, trak: cazzuola in mano,
regola
la sveglia alle 5 e via a fare il muratore o a cogliere pomodori nei campi.
Per
merenda 2 biscotti (del Mulino bianco, naturalmente). Ci è già rimasta
fregata
tanta gente che Silvio si merita all’unanimità l’appellativo di Grande
Comunicatore,
ancor prima di Cavaliere. Lo sghei c’è, a palate, alla villa
di
Arcore ormai non si va più per fare il picnic pirata con la Veronica ma
ci si
abita e i body guards sorvegliano con fiero cipiglio.che malintenzionati
non si
avventurino nelle vicinanze a gozzovigliare, pena lo sguinzagliamento
di
Fede e dei dobermann. Insomma, si viene a creare un’immagine che
ormai
dilaga, ma non basta…
Nelle
fredde sere di Arcore, chiuso in una delle innumerevoli stanze,
Berlusconi
non si da pace. Continua a comprare figurine Panini,
arrivando
a iscrivere una voce al riguardo nel bilancio di Mediaset,
e
nella sua mente si fa strada un idea: il Milan. Quale migliore veicolo
pubblicitario
di una squadra di calcio? Il Milan se la passa male, è
stato
in serie B, gioca malinconicamente in serie A e ha grossissimi
problemi
di bilancio. E’ sull’orlo del fallimento. Veronica e i figli dormono,
lui,
sottovoce prende il telefono e chiama Galliani. Galliani è su un
tetto
a montare un’antenna, a momenti si strangola con il filo per
rispondere
al cellulare, poi riesce a divincolarsi e risponde. Lui è
milanista
da sempre, ma dalla sera del poker soffre di un esaurimento
nervoso
che gli ha fatto cadere tutti i capelli. Ora a detta sua è bruttissimo
che
non si può guardare, e se lo dice lui c’è da crederci.Ha paura
che
essere investito in prima persona nella presidenza del Milan
possa
fargli peggiorare l’esaurimento facendogli cadere anche i
peli
pubici e le unghie delle dita dei piedi. Senza contare che con
quella
telefonata il primo a rischiare di cadere dal tetto era stato lui…
Berlusconi,
quando vuole cioè quasi sempre, può essere rassicurante
come
un faro nella notte più buia: “Saneremo i debiti,consoleremo gli
afflitti,
compreremo il meglio dei giocatori sul mercato e fuori del
mercato,
vinceremo scudetti e Coppe dei Campioni, saremo i più
forti
del mondo!” Qui succede una cosa strana: Galliani, milanista
da
sempre, cade in catarsi e si ritrova sull’attenti, sul tetto, con la
testa
che dice sempre si, le orecchie rosse non si sa se per il gelo
o la
pressione sanguigna, e stringe convulsamente un’antenna.
In
quel sogno ad occhi aperti gli è sembrato di vedere un ragazzo
biondo
con la maglia rossonera stringere con una mano la bandierina
del
calcio d’angolo e con l’altra indicare un punto del proprio corpo:
il
punto G. Alla fine di questa polluzione ad occhi aperti (ed anche
un po’
gay, se vogliamo) si scuote ed è convinto di aver visto il
mare
aprirsi, una folla di persone con le bandiere rossonere attraversarlo
e un
uomo con delle tavole sul monte ad indicargli la strada da seguire.
Lui è
il Presidente del Milan.
L’arrivo
di Berlusconi e Galliani al Milan è un po’ come il primo giorno
di
scuola: non si scorda mai e loro non hanno fatto niente per farlo
scordare.
Arrivo in elicottero sulle note della Cavalcata delle Valchirie,
standing
ovation per tutti anche se ancora non c’era nessun motivo e
via
all’allenamento tra una folla di gente che nemmeno al Colosseo al
tempo
dei gladiatori. Allenamento, poi il pranzo. E qui succede il fattaccio,
o
meglio c’è la svolta a quella che sarà la stagione della squadra: siamo
al
dessert, i giocatori guidati da Liedholm e sotto gli occhi severi di
Silvio
e Galliani hanno mangiato a strafottere; chi rotta, chi scorreggia,
chi ha
gettato la testa sul piatto e dorme sulle patatine. Insomma,
un’Armata
Brancaleone. Galliani sta per addentare un pezzo di crostata
che un
po’ di marmellata di ciliegie gli cade sulla cravatta gialla
imbrattandogliela.
Non sia mai, è la goccia che fa traboccare il
vaso:
furibondo si volta verso Silvio e biascica in un ghigno da
squalo:”Guarda
che è successo!” Berlusconi si alza, monta su
una
sedia e proclama: “Signori,il fido Galliani si è macchiato con
la
marmellata. Da oggi niente più crostate!” Dal fondo della tavola
si
sente un rotto, ma fa finta di non accorgersi, poi va verso Liedholm
che
sta sorseggiando un vinello delle sue terre (è al settimo bicchiere,
ma lui
l’alcool lo regge bene) lo prende in disparte e gli dice: “Da
oggi
il menù lo preparo io e lo serve Galliani, se si amplia la “rosa”
chiamo
a servire anche Fede”. A Liedholm che vorrebbe replicare
non
lascia alcuno spazio:”Se non va bene quella è la porta: passi
lunghi
e ben distesi…” Sembra incredibile ma è così: sta nascendo
il
Milan dei sogni e dei record.
La
stagione successiva Berlusconi affida la conduzione tecnica del
Milan
a Sacchi, quello del famoso “cul de sac” (non l’ho detto io,
potete
crederci), un omino romagnolo che fino a qualche tempo
prima
girava l’Europa come rappresentante di scarpe. Insomma,
uno
che di piedi se ne intende. E dopo un po’ sembrerebbe doversi
intendere
anche di panettoni, dato che i risultati sono poco incoraggianti
e di
lui si dice che non arriverà a mangiarlo. Intorno alla sede del Milan,
sui
tetti, dietro le tendine delle finestre, prosperano cecchini dalla mira
perfetta
che non aspettano altro che un ordine di Galliani per crivellare
Sacchi
come una groviera. Galliani è in stato di allerta ogni ora del
giorno
e della notte in attesa di ordini, Berlusconi è in stato di allerta
ogni
ora del giorno e della notte in attesa di ordini, ma di chi, dato
che
deve darli lui?…Già, dimenticavo…
Succede
che Berlusconi aveva preso la decisione di sopprimere Sacchi,
ma
proprio mentre si accinge ad inviare l’ordine a Galliani, squilla il telefono:
è
Piero Angela che gli comunica di avere importanti notizie sul punto G.
Se
vuole averle deve però sintonizzarsi sul canale della concorrenza,
la
Rai, e vedere “Il mondo di Quark”. Silvio corre alla televisione, le mani
sono
sudate dalla tensione, gli scivola il telecomando che non ha ancora
il
guscio Meliconi perché deve essere inventato, torna alla scrivania e
segna
sull’agenda “Meliconi” per ricordarsi che deve inventarlo lui per
primo
così lo chiamerà “Berlusconi”, torna alla televisione, la accende,
ma
sbaglia canale e trova una TV erotica. Dato il tema pensa di essere
sintonizzato
sul “Mondo di quark” ma dalle quattro persone intorcinate
escono
mugolii indistinti e in mezzo a quel groviglio è impossibile trovare
dove
si nasconda il punto G. Come cercare un ago in un pagliaio; e
del
pagliaio il groviglio ha sempre più la forma
dato che ai quattro si
sono
aggiunti il portiere, la portiera e il garzone del macellaio. Ormai
non si
sa più chi sia il padrone di quella cosa o di quel coso, ma quello
che
importa è che si sia scordato completamente di Sacchi e di Galliani.
Praticamente
da quel groviglio il “cul de sac” è uscito rinvigorito, a fine
stagione
il Milan vincerà il primo scudetto dell’era Berlusconi, con
Sacchi
tarantolato a fare avanti e indietro tra campo e panchina
a
dispetto delle emorroidi e di Maradona.
Ancora meglio andrà
l’anno
successivo quando il suo Milan vincerà la Coppa dei Campioni.
Qui
addirittura accade l’incredibile. Siamo a Belgrado, serata invernale,
stadio
colmo ai limiti della capienza, incontro Stella Rossa – Milan .
Il
Milan sta perdendo 1-0, la partita di andata è terminata 1-1 e se
finisce
così il Milan è fuori dalla Coppa. La squadra non sembra
farcela
da sola, ha bisogno di un aiuto, ma di chi? Berlusconi è
in
tribuna con tutto il suo staff, Galliani, Fede, Confalonieri, le guardie
del
corpo, i fedelissimi. D’un tratto si alza, nessuno riesce a trattenerlo,
intraprende
una fuga verso l’uscita di sinistra e si fionda al bar:
ordina
100 panini imbottiti di tutto punto di wurstel, luganiga, salsicce
e
tante, tante cipolle e ketchup e maionese. Il bar è efficiente e prepara
il
tutto in un battibaleno senza lesinare nulla, lui paga, prende l’enorme
cartoccio
e torna su di filato. La partita va sempre male e ormai ci sono
solo
una ventina di minuti del secondo tempo per rimediare alla batosta.
Ordina
ai suoi di ingozzarsi il più in fretta possibile, promette a Galliani
dodici
cravatte gialle se mangia due panini, a Fede non ce n’è bisogno
tanto
fa quello che gli si dice, con Confalonieri c’è qualche problema
perché
ha il colesterolo alto, ma lui lo minaccia di divulgare alcune battute
a
vuoto con un paio di amiche e al buon Confalonieri torna l’appetito.
In un
batter d’occhio non resta una briciola. A quel punto il Berlusca
ordina
a tutti di ruttare verso il campo all’unisono: “1-2-3 via…1-2-3
via…1-2-3
via…”.
Qualcosa
di putrido e spesso come un mattone di tufo scende sul
terreno
di gioco, dopo qualche attimo i giocatori devono toccarsi
per
sapere che fino hanno fatto i loro attributi, tanto non si riesce
a
vedere da qui a li, l’arbitro che si crede cieco e stordito dal fetore
decreta
la sospensione della partita. Nessuna telecronaca ci fece
mai
vedere le immagini delle file immediatamente sottostanti lo staff
milanista,
ma si dice che molti di loro furono poi ritrovati in una fossa
comune
appena fuori allo stadio: fatta l’autopsia, la morte risaliva a
quella
sera, non alla guerra civile di qualche anno dopo. Il Milan vinse
ai
rigori la ripetizione della partita e si involò verso la prima Coppa
dei
Campioni dell’era Berlusconi. Il “cul de sac” aveva colpito ancora.
Pare
che sull’aereo di ritorno a Milano si siano creati diversi vuoti d’aria
dovuti
a turbolenze non meglio specificate. Per la cronaca il DC9 che
riportava
Berlusconi e C. in Italia aveva due WC, entrambi occupati
dall’inizio
alla fine del viaggio da Confalonieri e Fede. Galliani durante
il
viaggio ebbe diversi strabuzzamenti oculari, ma visitato dal medico
di
bordo venne rassicurato che il suo aspetto sarebbe tornato normale.
Galliani
lo sta querelando in questi giorni per omissione di soccorso.
Nessuno
si è mai chiesto come mai Galliani e la moglie si separarono
proprio
dopo la vittoria del Milan a Perugia e la conquista del suo 16mo
scudetto?
Quella partita passò alla storia più per le manifestazioni di
Galliani
in tribuna che per il gioco, ma anche stavolta la verità supera
ogni
immaginazione. Quell’uomo stravolto nei lineamenti, gli occhi di
fuori,
al limite del collasso, che saltava e si sbracciava ad ogni gol del
Milan
NON era Galliani, ma la sua ormai celebre controfigura Teo Teocoli.
La
moglie vide le prodezze del marito in televisione e non rimase stupita
più di
tanto: anche nel pieno della passione amorosa, qualche stranezza
l’aveva
sempre dimostrata, faceva ogni volta salti fino al soffitto per
cambiare
posizione, voleva essere chiamato “Presidente mio” al
culmine
dell’orgasmo, vietava qualsiasi approccio sessuale a partire
da due
giorni prima della partita. E con il Milan occupato anche nelle
Coppe
europee, ormai lei era costretta alla vita monacale.
Tornando
a quel giorno, però, dov’era Galliani, se non era allo Stadio?
Galliani
si era chiuso in un appartamentino della Perugia storica,
radiolina
ben incollata all’orecchio, in casa di un’amica occasionale,
conosciuta
la mattina mentre prendeva un cappuccino al bar in Corso
Vannucchi.
Lei gli aveva detto “Che begli occhi che hai! Nascondono qualcosa…”
e lui
per la prima volta aveva tradito anche il Milan , ma non prima di aver
mandato
una controfigura allo Stadio per salvare la facciata. In effetti Galliani
dietro
quegli occhi può nascondere qualsiasi cosa, anche un trumeau se ci
si
mette di buzzo buono, e questo potrei dirglielo anche io, ma un complimento
detto
da una bella donna fa sempre un certo effetto e poco importa se è una
piccola
bugia; in fondo è sempre un segnale di apertura. Quella mattina, girò
un po’
per Perugia, andò al campo a salutare la squadra, tornò al centro a
comprare
una scatola di “Baci” tanto per essere originale, si sistemò l’auricolare
della
radiolina nell’orecchio rimpiangendo di non avere i capelli per non farlo
vedere
e bussò all’interno 3 del civico 46. Lei gli rispose subito e lo accolse
in
vestaglia di seta con ampia scollatura. Lui le dette i “Baci” con un sorriso
carnivoro
che lasciava presagire tutto quello che poteva fare in quanto ad arti
amatorie
e anche di più, lei guardò i cioccolatini fingendo sorpresa neanche
fossero
“Made in Hong Kong”, accettò con un sorriso la scatola e la posò
sul
tavolo. Per rompere il ghiaccio, gliene porse uno, Galliani sorrise ancora,
lo
scartò, svolse il bigliettino con la massima per gli innamorati e finse di
leggerlo.
In
realtà era molto più interessato alle notizie sulle formazioni che venivano
dalla
radiolina.
Tanto per dire qualcosa chiese:”Ma non è in
questi che c’è il liquore con la
ciliegina?”
Lei lo guardò come si guarda un alcolizzato all’ultimo stadio, ma
non
gli rispose e lo guidò con aria complice in camera da letto. Galliani cominciò
a
togliersi la giacca, la camicia, il pantalone, i calzini, le mutande, anche il
Breil,
ma rimase con l’impermeabile chiaro e la cravatta gialla indosso. Il tutto
causa
radiolina e auricolare. Il filo dell’auricolare partiva dalla radio nascosta
nella
tasca dell’impermeabile, passava dentro la cravatta e gli finiva nell’orecchio,
non
visibile se si presentava sempre dallo stesso lato alla ragazza. E così
cominciò
a fare. Lei era nuda sul letto e lui, seduto di fianco con l’impermeabile
e la
cravatta aspettava che lei facesse la prima mossa. Pretese il buio più
completo
adducendo una timidezza istintiva, e giustificò il rimanere bardato
in
quel modo come una piccola mania. Lei la
bevve e cominciò a strofinarsi
contro
di lui, ma Galliani rimaneva assorto, come concupito da altri pensieri.
Non
prendeva l’iniziativa, non partecipava tanto che lei ad un certo punto se
ne
uscì esasperata:” Oh, ma ‘un sai neanghe ghe c’ho il punto gine!” Lui pensò
ad un
difetto della pronuncia, poi quel “gine” non sapeva proprio cosa fosse,
ma non
fece in tempo a risponderle che proruppe in un urlo sovrumano: il Milan
aveva
segnato: Lei prese quell’intemperanza come l’urlo d’amore del guerriero
e
raddoppiò i suoi sforzi, ma lui aveva cominciato a fare la OLA ed era
diventato
difficile stargli dietro. Cercò di tenerlo per l’impermeabile, ma
era
impossibile, gli scivolava dalle mani come un gatto in piena trance
agonistica.
Nei televisori un altro Galliani faceva cose da educanda. Il
peggio
arrivò quando lui pretese di buttarsi faccia a terra a braccia larghe
con
lei sotto per festeggiare lo scudetto in arrivo. Lei si oppose con tutte
le sue
forze, lui finì col farlo da solo distruggendo un comò del ‘600 italiano
che
durante la guerra aveva passato indenne la linea Gotica, due vasi cinesi
e una
poltroncina d’antiquariato lombardo. A quel punto Galliani si rivestì
di
tutta fretta infilandosi camicia e giacca sull’impermeabile e si precipitò
allo
stadio per brindare a champagne alla conquista dello scudetto.
Purtroppo
infiltrato tra i tifosi in tribuna c’era un interista che dopo un po’
aveva
scoperto la vera identità del sedicente Galliani; incazzato nero per
lo
scudetto vinto dai rivali passò tutto il viaggio di ritorno a scrivere una
lettera
che una volta arrivato a Milano imbucò alla Stazione Centrale.
Dopo
un paio di giorni la moglie di Galliani chiese il divorzio.
Risulta
ben chiara ormai la decodificazione del sogno di quel Berlusconi
ancora
giovane davanti alla statua di Padre Pio a Pietralcina. Ormai si
era
avverato quasi tutto: le televisioni, le maglie rossonere dell’amato
Milan,
tutto coincideva per far sentire Silvio come l’uomo del destino.
Ormai
aveva anche capito cosa fosse un lifting e per prova l’aveva anche
fatto
fare ai suoi due dobermann della villa di Arcore e a Gianni Letta. Ormai
anche
la sua vita politica era ad una svolta: aveva fondato un partito
chiamandolo
sempre con grande originalità “Forza Italia”, aveva dichiarato
odio
imperituro al Comunismo e alle tasse, aveva stretto accordi con
Fini e
Bossi per una coalizione ancora più forte. Bisognava decidere
chi
fosse il capo di questa coalizione: scelse il modo più democratico.
Prese
tre stuzzicadenti, ne fece uno più corto, prese la colla ai siliconi
e se
lo attacco alle dita, impugnò anche gli altri due e, davanti alla tavola
imbandita,
fece scegliere ai due compagni di scalata. Fini ne prese uno,
Bossi
provò a tirare uno stecchino, questo non ne voleva sapere di venire
via,
bestemmiò in lumbard e prese l’altro. Trionfante, Berlusconi mostrò
agli
altri lo stuzzicadenti più piccolo: era rimasto a lui e a lui sarebbe
toccato
comandare.
Dalle
sue televisioni ormai partivano inviti agli Italiani, chiari e sottintesi,
a
votare per Forza Italia. Ormai si era circondato di uno staff indivisibile
che lo
avrebbe seguito fino alla morte: una Crociata. Alcuni nomi?
Maurizio
Costanzo, conduttore del “Maurizio Costanzo Show” che in una
puntata
aveva dichiarato candidamente che il suo punto G si trovava
esattamente
tra i due incisivi ecco perché la “esse” veniva fuori in quel
modo.
Lui godeva tantissimo nel pronunciare in televisione parole con
molte
“esse”, la gente faceva fatica a seguirlo, esasperata per quei sibili
da
rettilario, e lui guadagnava divertendosi; il sempre fedele Emilio Fede,
Paolo
Liguori, Alessandro Cecchi Paone, l’alter ego di Piero Angela
che,
belloccio e bravino com’è saprà senz’altro dove sia il punto G
ma non
lo vuole dire agli altri, Vittorio Feltri che pensa che il punto G
sia
una rivendita di giornali, Giorgio Mentana.
Nonostante
l’attaccamento alla madre patria, qualcuno di questi signori
ogni
tanto ha avuto qualcosa da ridire. Come quella volta che Cecchi
Paone
si incazzò di brutto perché era arrivato secondo al Telegatto.
Appena
saputo del verdetto, inforcò con rabbia il cellulare e chiamò il
Cavaliere
in persona. E giù vituperi, “E’ un’ingiustizia, però…”, “Me ne
vado…”
finchè il Cavaliere non tentò un compromesso: “Ti consegno
il
Telegatto in persona se mi dici dov’è il punto G”. Cecchi Paone ci
pensò
su un attimo, poi alzò il tiro e pretese due testimoni: Piero Angela
e
Mario Tozzi (quello di Gaia).
Di testimoni se ne presentarono tre, anzi
qualcuno in più: Piero Angela,
seguito
come un’ombra dal figlio che teneva al guinzaglio un velociraptor,
e buon
ultimo Mario Tozzi con la sua inseparabile piccozza. Si trovarono
a casa
di Berlusconi e Mario Tozzi cominciò subito a picconare sul muro
dell’enorme
atrio di ingresso di Arcore per vedere se la casa aveva fondamenta
solide
o i tramezzi erano fatti con mazzette da 100.000 come gli avevano
raccontato.
Il velociraptor ingaggiò subito una furiosa battaglia con i dobermann
uno
dei quali perse il lifting e, dopo uno sguardo allo specchio, iniziò a
guaire
disperato. Velociraptor e figlio di Angela sparirono all’inseguimento
del
dobermann superstite nelle ombre della sera: sembra che velociraptor e
cane
abbiano scoperto vicendevolmente i rispettivi punti G e ora convivano
felicemente
nei dintorni di Arcore. Scienziati stanno studiando i cuccioli nati
dall’unione
per cercare di dare un nome alla specie.
Nella
villa i quattro cominciarono a discutere sull’importanza dell’atto sessuale
nell’unione
tra due sessi: per la verità Berlusconi si manteneva un po’ in
disparte,
forte del fatto che alla fine avrebbe sciolto il suo dilemma, mentre
i tre
conduttori si accanivano su diverse teorie. Il primo a tirarsi fuori fu
Piero
Angela: “Ero venuto qui soprattutto perché qualcuno mi ricordasse
cosa
si intende per atto sessuale, il punto G viene dopo. Prima bisogna
gettare
le basi della conoscenza, poi scendere nei particolari…”Rimasero
a
discutere Cecchi Paone e Tozzi, i due virgulti della compagnia che avevano
le
idee più chiare sui rudimenti del problema. Cecchi Paone proiettò un
paio
di slide, ma alla terza Tozzi sferrò una picconata allo schermo che
finì
in mille pezzi. I due stavano per venire alle mani e a nulla valevano
le
giustificazioni di Tozzi che continuava a dire: “Il punto G è interno
all’essere
umano, occorrevano riprese con una microcamera interna…”
E giù
altre picconate alla cieca. Una colpì sul ginocchio Piero Angela che
ne
approfittò per sondare le meraviglie delle articolazioni del corpo umano
e
lanciare un nuovo programma alla Rai su tre puntate, con annesse VHS
da
comprare in edicola. Gli erano bastati pochi minuti di conversazione con
Berlusconi
per capire che “Tutto è business”: un vero Genio! Nel frattempo
Mario
Tozzi e Cecchi Paone, dapprima avvinghiati nella rabbia, si erano
fidanzati
aprendo nuove prospettive alla loro ricerca; soprattutto Mario Tozzi
teneva
pencolante in mano il piccone dettando appunti in un miniregistratore
che
teneva in tasca. Il Cavaliere decise che anche quella volta non sarebbe
riuscito
a cavarne un ragno dal buco, prese un Telegatto dalla libreria e lo
tirò
verso Cecchi Paone colpendo Mario Tozzi al gomito: Piero Angela ne
trasse
altro materiale per il suo programma. Uscirono tutti e tre nel buio
di
Arcore insalutati ospiti, con Silvio che mestamente frugava nelle tasche
se per
caso fosse avanzato un punto G.
Ormai
capo del Governo in Italia, padrone di tre televisioni e del Milan,
Silvio
Berlusconi era pervaso da un’idea fissa: dove fosse questo benedetto
punto
G. Un aiuto inaspettato sembrò giungergli da uno dei convegni che
i
rappresentanti dei paesi più industrializzati tengono periodicamente: il G7.
Quella
sigla sembrava avere qualcosa di molto familiare con il suo problema
e
immediatamente chiamò Piero Angela per chiedergli se vi trovava attinenze.
Piero
Angela ci pensò su un attimo, chiese un ulteriore pausa per il pranzo
lasciando
il conto da pagare al Cavaliere, poi lo richiamò direttamente sul
telefono
privato. Aveva composto una formula matematica che non poteva
essere
sbagliata: G moltiplicato G7 = 7 volte G al quadrato. Il che, spiegò,
in
parole più povere voleva dire che più erano le donne sottoposte al trattamento,
più
erano le probabilità di trovare almeno 1 punto G. Era un teorema che
apriva
squarci inaspettati soprattutto sul mondo islamico e chiariva le idee
sul
motivo per cui quella religione consente la poligamia. Per avvicinarsi ancora
di più
alla soluzione bastava aggiungere un’incognita e, senza voler scendere
in
particolari troppo tecnici, la soluzione era che la donna doveva stare sopra
e
l’uomo sotto. Qui però il discorso si fece frammentario anche perché Angela
cominciò
a chiedersi se i due stessero lottando o giocando e qui al Cavaliere
cascarono
le braccia. Le rialzò solo in occasione della foto ufficiale del G7
quando,
messo in seconda fila, pensò bene di aprire indice e mignolo sulla
testa
di Aznar mostrando ai fotografi la mano chiusa a pugno con le due
dita
sporgenti. Gli era tornato il sorriso a 32 denti e aveva dimenticato
il suo
annoso problema.
La
storia di Berlusconi non è poi tutta costellata di successi. Basta pensare
a
quella volta che prese Fini e Bossi e si recò alla sede della Lavazza.
Scopo
della visita: prendere il posto di San Pietro, Laurenti e Bonolis
nello
spot del caffè. Questo obiettivo veniva visto come molto importante
strategicamente nella marcia di avvicinamento al Padre
Eterno, quindi
all’onnipotenza
assoluta. Berlusconi voleva ad ogni costo il ruolo di San
Pietro
con tutti gli annessi e connessi che ne derivavano: chiavi del Paradiso,
potere
decisionale sulle entrate e sulle uscite delle anime, giurisdizione su
tutti
gli altri santi.
Arrivarono
una mattina alle 10 in punto, Berlusconi nel tradizionale blazer
blu,
Bossi in camicia a scacchi, pantaloni da cacciatore e fazzoletto verde
al
collo e Fini che per non essere da meno di Bossi si era fatto prestare dalla
moglie
una sciarpa da Ultras della Lazio. Chiesero del Comm. Lavazza e
furono
subito introdotti in un ascensore a cielo aperto a forma di chicco di
caffè
con panorama sul Purgatorio. Il comm. Lavazza per non essere da
meno
del Lingotto della Fiat, aveva chiamato la sua sede “Il ristretto” e infatti
il
palazzo era una Piramide con punta verso l’alto: all’ultimo piano, come è
giusto,
l’ufficio del Capo. L’ascensore arrivò direttamente dentro l’ufficio e il
comm.
Lavazza, in seduta plenaria con la segretaria sulle ginocchia, afferrò
distrattamente
un orecchio di Bossi credendo che fosse il caffè che aveva
ordinato
poco prima. Bossi bestemmiò in lumbard e Berlusconi gli sferrò un
tremendo
ceffone sull’orecchio rimasto libero: in fin dei conti si era nell’anticamera
del
Paradiso…
Si
accomodarono e Berlusconi prese la parola: declamò le referenze al
Comm.
Lavazza a cominciare dal miracolo della nebbia di Belgrado e
terminando
su come era riuscito a farla franca in tutte le ispezioni della
finanza
alla Mediaset. Il comm. Lavazza lo
ascoltò attentamente, poi
chiese
se gradivano un caffè. Stranamente il caffè venne ordinato al
Bar
lungo la strada dove campeggiava un’ insegna Illy visibile fino ad
Abbiategrasso,
la segretaria, in minigonna da autopsia sommaria, andò
a
prenderli al montacarichi e porse una tazzina a Bossi che, per farsi perdonare
la
bestemmia di poco prima, le passò in rassegna prima le cosce poi il dietro e
infine
arrivò a prenderla. Il caffè nel frattempo si era raffreddato, e Bossi
bestemmiò
mentalmente in lumbard.
Intanto
il Comm. Lavazza declamava le proprietà di quel caffè : “Guardate che
crema!
Sentite che aroma!”. Nel sentire la parola aroma a Fini scattò un riflesso
condizionato,
frutto di tutte le volte che aveva accompagnato la moglie allo
stadio
e cominciò a sventolare la sciarpa biancazzurra, a fare la OLA e a
insultare
pesantemente i giocatori della formazione della Roma. In pieno
raptus
da tifo scambio il fazzoletto verde di Bossi per giallo-rosso, prese il
leader
della lega per il collo e lo scosse come se stesse preparando un cocktail
che
chiamò “Lumbard”.
Berlusconi
già pregustava il nuovo ruolo di San Pietro, ma il comm. Lavazza lo
gelò:”Vedi
Silvio, i tre dello spot ci sono stati raccomandati molto dall’alto ed è
impossibile
sostituirli. Vi proporrei tuttavia uno spot per la Illy, sempre di caffè
si
tratta…La Illy come sapete è di Trieste, città vicina al confine con la
Croazia.
Il
titolo dello spot sarebbe:”Illy, il caffè senza confini” e voi potreste fare i
tre
doganieri…”Il
Cavaliere si riservò di dargli una risposta e dentro di sé cercava
di
capire chi poteva aver raccomandato così fortemente Bonolis, Laurenti e San
Pietro
alla Lavazza; finalmente se ne ricordò: era stato lui!..
Incazzato come una iena richiamò Fini, il
cocktlail di Bossi e si avviò all’ascensore.
Si
sbagliò e spinse il bottone del secondo seminterrato dove si faceva il caffè:
il
guardiano all’ingresso infilò loro in testa un elmetto, mise in mano un piccone
e,
credendo fossero avventizi, ordinò loro di tirare fuori almeno un barile di
chicchi
dalla
miniera. Alla fine della giornata, esausti e con i barili pieni solo per metà,
furono
frustati a sangue per non aver svolto interamente il loro compito e a nessuno
venne
il benché minimo dubbio se il caffè nasce da una piantina o cresce in miniera.
Un
paio di insuccessi Silvio, quasi a voler dimostrare che la perfezione non
esiste,
li
rimediò anche in campo calcistico. Qualche adulatore sedicente tifoso milanista
lo
aveva convinto di essere un grande allenatore oltre che un mega Presidente.
Decise
quindi di sua iniziativa, senza neanche consultare Sacchi, di portare niente
meno
che Diego Maradona alla corte del Milan; per fare questo passò da Galliani
in
piena notte, lo buttò giù dal letto, e in capo a dieci minuti erano
sull’Autostrada
che
sfrecciavano a bordo di una Lancia Thema verso Napoli. Per passare ancora
più
inosservato, soprattutto con la stampa, aveva depistato con uno stratagemma
le
body guards e si era vestito in camicia di flanella e pantaloni di fustagno
abbandonando
il doppio petto blu cui tutti in Italia siamo abituati e aveva convinto
Galliani
a indossare una parrucca color grigio topo da donna attempata e un sobrio
completino con giubbino di “pile”: così camuffati sembravano una collaudata
coppia
in
viaggio verso la Costiera Amalfitana. Si era in pieno inverno e sull’Appennino
Tosco Emiliano
trovarono la nebbia e la neve tanto che Galliani fu costretto a mettere
testa
e parrucca fuori dal finestrino per seguire le righe della strada e avvisare il
capo,
che
guidava, dell’avvicinarsi delle curve. Per colmo di sventura dovette anche montare
le
catene, cosa che fece rimpiangendo la vecchia
vita del montatore di antenne, priva sì di grosse soddisfazioni ma sicuramente
meno stressante. Dopo aver evitato due Tir in
sbandata
con violente sterzate e raid sulla corsia di emergenza, riuscirono a tirarsi
fuori
da quel girone dantesco e ripresero la
corsa verso Napoli.
La squadra partenopea era sul piede di
partenza per un’importante trasferta di
Coppa
dei Campioni in Russia e, finalmente arrivati in città Galliani e Berlusconi
incocciarono
in gruppuscoli di tifosi che, urlando slogan e sventolando bandiere
azzurre,
si avviavano a seguire la squadra a bordo del Trans Europe Express
(sarebbero
arrivati in primavera con il Napoli ormai fuori dalla Coppa) .
Berlusconi
ebbe la geniale idea di tirare fuori la mano e mostrare indice e mignolo
alzati
attirandosi dietro una sonora dose di pernacchi e contumelie che ferirono
profondamente anche la “signora” che aveva accanto.
Non
era un buon momento per il Napoli: Maradona, il trascinatore, marcava visita
spesso
e volentieri e, anche in quell’occasione, aveva preferito rimanersene a
casa,
al calduccio, con la scusa del mal di schiena anziché andare a sgomitare
dietro
un pallone in un mare di fango. Finalmente arrivarono a Posillipo, dove
abitava
il campione ma lì trovarono fuori della porta di casa alcuni calciatori
della
squadra, Ferrara, Bagni e Giordano. Berlusconi pensò immediatamente
a una
fuga di notizie e si rabbuiò; fu la moglie, pardon Galliani, a rassicurarlo.
Il
fedele gregario aveva infatti prestato l’orecchio a quello che dicevano i tre
che,
valigie
in mano, cercavano di convincere da dietro la porta il compagno a seguirli
nella
trasferta. Un “nooooooo…” prolungato era echeggiato per tutta Posillipo
e i
tre se ne stavano ormai andando sconsolati senza neanche prestare attenzione
alla
coppia ferma sul pianerottolo. Mentre Galliani era impegnato a scrivere
una
bozza di contratto da far sottoscrivere a Maradona, Berlusconi tirò fuori
dal
cilindro magico la voce più suadente di cui disponesse:”Ciao Diego, sono
Silvio
Berlusconi, mi faresti entrare?””Chi è ancora?..” replicò seccato l’argentino.
Senza
spazientirsi Silvio ripetè, sempre con la massima dolcezza:“ Sono
Berlusconi,
il Presidente del Milan, vorrei farti una proposta…””Che vuo’?”
biascicò
per tutta risposta lui da dietro la porta. “Perché non vieni al Milan?…”
Maradona
smise di dare il latte con il biberon al figlio illegittimo, posò la canna
che di
tanto in tanto aspirava con voluttà e si grattò la testa sotto una cascata
di
riccioli. Poi cominciò a snocciolare una serie di richieste economiche e non:
voleva
mezzo miliardo di ingaggio a partita, una Ferrari con autista, un
appartamento
con vista Madonnina e una garconniere con vista Scala,
permesso
garantito, nei giorni di lunedì, martedì e mercoledì, di andare
a
pescare lucci nel Naviglio e giovedì, venerdì e sabato di frequentare
le
migliori case d’appuntamento di Milano, coca garantita, tasse pagate,
uno
stock di biglietti della tribuna d’onore omaggio per ogni partita, tre
baby
sitter possibilmente carine, il frigorifero pieno e un aereo personale
con
cui raggiungere L’Avana due volte al mese per vedersi col fraterno
amico
Fidel Castro.
Galliani
invece del contratto si era ormai rassegnato a fare una lista della
spesa;
Berlusconi, sentendo ormai la trattativa in pugno, disse sì a tutte
le
condizioni, ma su una cosa rimase irremovibile: niente aereo personale
e
niente visite a Fidel Castro. Maradona indispettito cominciò a battere i
piedi
sul pavimento, dal pianerottolo Silvio faceva altrettanto. Alcuni
condomini
cominciarono ad affacciarsi alle porte pensando a un gruppo
di
suonatori che avesse intonato una tarantella napoletana; dagli ultimi
piani
arrivarono anche alcune monete da 500 lire che Galliani, parsimonioso,
si
sbrigò a raccogliere e mettere in tasca, qualcuno aveva cominciato anche
a
battere aritmicamente le mani. Nessuno dei due volle demordere e fu così
che
Maradona rimase ancora un po’ dov’era mandando Ferlaino al manicomio
e i
compagni di squadra a quel paese.
”Comunista!”
bisbigliò Berlusconi guidando come un pazzo nel congestionato
traffico
di Napoli.
Non
andò meglio qualche tempo dopo con Gascoigne che si presentò nella Sede
del
Milan in canottiera blu da camionista, bottiglia di birra in una mano e
camminando
al ritmo di poderosi rotti che facevano tintinnare i vetri delle finestre.
Attirato
da quel fracasso Berlusconi uscì dall’ufficio, ma mentre si faceva incontro al
calciatore, mano destra tesa per il saluto e sorriso delle grandi occasioni,
questi,
nell’intervallo
tra un rotto e l’altro, anticipò il suo saluto esclamando “Fuck off”
mentre
con la mano destra si dava un’energica grattata al di dietro.
Silvio
decise di passare sopra alle stravaganze dell’inglese, già pregustando
divine
giocate sul prato verde di San Siro. Lo guidò nel suo ufficio, ma dovette
sorreggerlo
perché, finita la crisi di aerofagia Gascoigne stava barcollando pur
continuando
a sostenere che le sue erano finte di corpo. Nemmeno il tempo di
adagiarsi
su una poltrona che cadde in un sonno profondo, russando come un
mantice
e con le gambe accavallate sulla scrivania del Presidente. Berlusconi
ne
approfittò per convocare l’allenatore Cul de Sac Arrigo Sacchi e mostrargli
il
nuovo gioiello, ma questi gli fece la traduzione letterale del saluto
dell’inglese
di
poco prima e Silvio, guardandosi intorno con l’aria smarrita di chi non si
aspettava
una simile reazione, riattaccò. Chiamò due body guards che presero
di
peso Gascoigne e lo depositarono ancora dormiente e sbronzo sul
marciapiede
da dove finì dritto in questura per ubriachezza molesta verso
una
settantenne.
Uno
dei pregi di Berlusconi è che non mette mai limiti alla Divina Provvidenza;
il suo
motto è “Caso mai li metto io…” Sarà perché ogni cosa che fa ce la
illustra
come una missione, ma c’è in lui qualcosa di trascendente. E’ partito,
come
abbiamo visto, da un’orchestrina ed è arrivato, seppure in visita, alla
Casa
Bianca. Già, perché mai nessun italiano che conti si è sentito così vicino
e così
tenuto in considerazione dal presidente degli Usa come Berlusconi.
In
effetti i punti in comune abbondano. Sia Bush che il Cavaliere sono dei
missionari
nel senso che entrambi si sentono mandati sulla terra per svolgere
una
missione e per questo lavorano. Poco importa se poi ci scassano le palle
che
rotolando, rotolando insieme al resto finiscono sull’orlo di un precipizio:
a quel
punto il problema è nostro, non più loro. Bush, che non è mai stato
una
cima né negli studi né negli affari, ha sempre goduto di grosse protezioni
dall’alto,
vuoi perché il paparino è stato Presidente USA, vuoi perché il benessere
chiama
il benessere e quindi, anche considerandolo un deficiente, tutti si sono
fatti
in mille pezzi per portarlo dove è arrivato.Religioso fino al bigottismo,
George
W. non fa nulla senza prima aver declamato il Rosario (fatto da lui
stesso
con trecce d’aglio) e sentito il parere
di Condor Liza.
Per
pregare più forte la prima volta che si sentì con Berlusconi si mise d’accordo
con
lui per dire insieme il Rosario, compatibilmente con i fusi orari. Stabilirono
di
mettersi d’accordo per telefonarsi alle 18,30 ore italiane, le 12,30 a
Washington
e
pregare insieme, Berlusconi a dire la prima parte dell’Ave Maria e Bush la
seconda
a giorni alterni, per non sentirsi superiori l’uno all’altro. Infatti dalle
18,30
alle 19 è impossibile stabilire un contatto con Berlusconi.
Non si
può sapere se il Padre Eterno ascolti le preghiere dei due premier o
no, il
fatto è che un giorno Bossi cercò di contattare Berlusconi alle 18,45,
non
ricevendo risposta al cellulare andò nel suo studio di Montecitorio,
bussò,
nessuna risposta, allora prese coraggio ed entrò e non visto ascoltò
Berlusconi
che diceva: “…allora siamo d’accordo, puntami 10 milioni di
dollari
a Wall Street sull’aumento del petrolio, mi vendi 500000 Esso e
acquisti
1000000 Shell. Io ti acquisto allo scoperto 800000 Mediaset e
vendo
le Alitalia. Ciao George”. Per ritegno Bossi richiuse silenziosamente
la
porta, ma ormai era chiaro che George W. e Silvio si scambiavano consigli
e
ordini di borsa, altro che “ora et labora”…Bossi prese il telefono e chiamò
Striscia
raccontando tutto quello che aveva sentito e infarcendolo di bestemmie,
ma un
ordine dall’alto intimò di insabbiare tutto, prove comprese
Alle
10 di quella sera Bossi ricevette una strana telefonata da un tale che
diceva
di chiamarsi Pontida e che lo invitava a farsi trovare di lì a un’ora
sul
molo di Rimini.
“Come
cazzo faccio a stare a Rimini in un’ora!?” rispose Bossi, ma dall’altra
parte
avevano già riattaccato. Bossi si mise addosso le prime cose che trovò
e
tempo un minuto, vestito completamente di verde come Peter Pan sfrecciava
sulla
sua Multipla Abarth versione Giannini con cerchi in Lega, marmitta in lega,
cofano
in lega, sportelli, bagagliaio e cofano in lega verso il litorale.
Sfrecciò
a 240 all’ora davanti a quattro posti di blocco, ma decise di non
fermarsi,
nel frattempo il numero di targa era finito a tutte le centrali della
Polizia,
della Guardia di Finanza, della Forestale e della Nasa ed era debitore
verso
lo Stato di 89 punti sulla Patente. Detto per inciso, per legge quando
si
accumulano tante sanzioni oltre il massimo di 20, i punti sulla patente che
si
devono allo Stato non vengono ripianati con un nuovo esame, ma devoluti
ai
bambini del Biafra; sotto questo aspetto quindi, Bossi aveva fatto un’opera
buona.
Il leader della Lega arrivò al molo di Rimini
quando mancavano tre minuti
all’appuntamento
ma qui, purtroppo, in mancanza di prove dirette, possiamo
contare
solo sul racconto di un testimone, peraltro attendibilissimo e di cui per
motivi
di privacy tacciamo il nome. “
Alle
11 esatte un tizio vestito da Peter Pan fu visto scendere da una Multipla
e
affiancare da tre tizi, uno in impermeabile due vestiti da veline, con
minigonne
vertiginose
e stivaloni neri.
Visti
da dietro è impossibile giurare se fossero uomini o donne. Fatto sta che,
dopo
un veloce conciliabolo in cui il tizio vestito da Peter Pan diceva due parole
e
quattro bestemmie in dialetto forse lombardo, i quattro si sono avviati verso
la
spiaggia, lì il Peter Pan ha scavato una buca, c’ha infilato la testa dentro
mentre
uno dei due vestito da velina gli calava la tutina e lo frustava
energicamente
sul culo”.
Il
testimone deve aver pensato ad un rito sado-maso e ha sporto denuncia per
atti
osceni in luogo pubblico, ma al Posto di Polizia hanno spiegato che, stante
l’insabbiamento della testa, si sarebbe potuto trattare di un nuovo rito
importato
dalla
mafia russa mentre i travestimenti da Peter Pan e da veline potrebbero
far
pensare anche a un regolamento di conti tra no-global.
Come
dicevamo Berlusconi e Gorge W. Bush hanno molte cose in comune
il che
ha reso semplicissima un’amicizia e una comunanza di intenti che si
può
ben dire travalica l’oceano. Una di queste è la costante ricerca del famigerato
punto
G. In effetti si erano presentati qualche istante prima che già Silvio aveva
chiesto
ragguagli al collega americano che senza pensarci su due volte,
per
compiacerlo, convocò l’ONU in seduta plenaria. Solo, sarà stata la
pessima
pronuncia di Berlusconi, sarà che Bush come al solito aveva
capito
fischi per fiaschi, all’ONU la domanda arrivò così:” Do you know
something
about Point J?” (“Sapete qualcosa sul punto J?”). Condor
Liza
alzò il capo perplessa e subito pensò a qualche arma chimica in
mano a
Saddam Hussein, tutti gli astanti si guardarono l’un l’altro dubbiosi
e
ansiosi che chissà quale catastrofe incombesse sulle loro teste,
immediatamente
scattò l’allarme viola del “Day After allerta”, vennero
fermate
tutte le metropolitane, i taxi raddoppiarono gli scatti sulla singola
corsa,
i supermercati furono svuotati fino all’ultima scatola di stuzzicadenti
e
nelle farmacie ci fu una vendita massiccia di preservativi, cosa che ha
poi
fatto scattare uno studio psicologico sulla reazione del singolo individuo
ai
diversi stati di stress emotivo. L’11 settembre era ancora di là da venire,
ma
l’americano ha sempre convissuto con uno stato
di sottile angoscia
dovuto
all’incertezza del posto di lavoro, soggetto ai budgets, alle ansie
da
record per essere sempre primi in ogni cosa, ai film catastrofici ideati
a
Hollywood, per cui una domanda del genere si insinuava sottile sui
nervi
scoperti e generava reazioni sproporzionate di questo genere .
Figuriamoci
poi se il senso della domanda viene stravolto! Un cataclisma.
Silvio
rimase anche quella volta senza risposta, ma si sentì molto più unito
al suo
nuovo amico che evidentemente sul punto G ne sapeva quanto lui.
Esaltato
per la nuova amicizia cominciarono a scendere più nei dettagli e
seppe
che, timoroso di Dio, George W. faceva l’amore vestito, si metteva,
non
visto dalla moglie, le dita nel naso e incollava il frutto delle ricerche
sotto
la scrivania dello studio ovale, aveva la collezione di tutti gli Air Force
One da
Lincoln ai giorni nostri e di tutte le bamboline di Barbie compresa
quella,
introvabile, in cui è congiunta con Ken in un focoso amplesso.
Gli
confessò che a 9 anni fu sorpreso dal nonno a fumare nel cesso;
si
giustificò dicendo che era una sigaretta di cioccolato, di quelle che
si
trovano nelle calze della Befana, ma la puzza di fumo lo tradì e il nonno,
infuriato
non si sa bene se più per la sigaretta o per la cazzata, gli spense
il
mozzicone sui denti. Quel giorno George W. promise a se stesso che
avrebbe
combattuto il fumo con tutte le sue forze.
A 12
anni falsificò la prima giustificazione, bigiando la scuola. Ci prese
gusto
e in trimestre fece solo 8 giorni di presenza tanto che alla fine
dell’anno
scolastico il suo curriculum era il peggiore del college. George
Bush
padre prima lo prese per il cravattino, gli fece passare una giornata
intera
attaccato all’attaccapanni come uno spaventapasseri passandogli il
pranzo
con una flebo, poi ricorse alle sue potenti conoscenze e, alla fine
dell’anno,
George W. fu promosso con la media del 9.
I suoi
compagni di scuola, nel vedere i quadri, dapprima rimasero sorpresi,
poi,
scandalizzati dettero vita a uno dei più colossali saccheggi di quartiere
che la
storia americana ricordi. Qualche anno dopo, il libretto di giustificazioni
contraffatto
da George cadde in mano a dei falsari che ne approfittarono per
coniare
biglietti da 100 dollari con l’effige e la firma di George Bush senior,
allora
presidente USA, e l’America rischiò di rimanere vittima di una seria
inflazione.
A 16
anni chiese al suo migliore amico, più grande di 3 anni, cosa volesse
dire
prostituta. Dato che George W. non capiva, dopo 3 ore e 50 minuti
di
spiegazione, l’amico decise di portarlo in un postribolo di sua conoscenza.
Aspettarono
2 ore il loro turno. La maitresse ogni tanto si avvicinava spiegando
che ci
doveva essere qualche problema perché la ragazza si era appartata
con un
anziano signore qualche ora prima e ancora non era uscita.
I due
cominciarono a innervosirsi. George W. ripassava mentalmente le
migliori
gnocche del cinema di quegli anni ma dalle parti basse nessuna
reazione.
Cominciò
a soffrire di attacchi di panico e a sudare copiosamente.
Dopo
un’altra ora l’amico andò dalla maitresse e le disse che a quel punto
andava
bene qualsiasi cosa, purchè si cominciasse. La maitresse ci pensò
un
attimo poi si incollò al telefono. Tempo due minuti si presentò un tizio di
un
metro e 50, con abbondante peluria sul petto, vestito da Tartan con tanto
di
banana in mano; prese per mano senza pensarci due volte George W. e lo
portò
nella sua stanza. Quello che successe lì dentro George W. non volle
raccontarlo
a Silvio, ma, ormai in lacrime per il ricordo, non potette esimersi
dal
raccontare il finale. George W. uscì dalla stanza massaggiandosi il culo
e
farneticando ad ampi gesti, mentre l’altro non aveva più la banana e si
riassettava
il vestito da Tartan.
Come
se non bastasse sul pianerottolo.George W. si trovò all’improvviso
faccia
a faccia George Bush senior che era in compagnia di una gnocca
stupenda,
bionda, vestita per modo di dire di un bikini composto da tre
francobolli
dell’indipendenza americana, due gambe da sballo, un seno
dell’ottava
misura.
Appena
lo vide, provò a chiedere:”Hi Papi, What are you doing he..” (“Ciao
Papà,
che stai facendo q..”), ma non riuscì a finire la frase che cadde secco
tramortito
per terra con due schiaffoni da rodeo.
Passò
un giorno e una notte sull’attaccapanni lamentandosi per gli schiaffoni
e le
emorroidi.
Ormai
era chiaro: Silvio e George W.erano diventati amiconi arrivando a
raccontarsi
i particolari più intimi della loro vita. Come quella volta che
George
W. a 23 anni pensò di fare il fico con Jennifer, la ragazza del suo
migliore
amico. La portò prima fuori a cena, poi a ballare guarda caso al
“G
point”, un locale poco fuori città infine una scorazzata in auto in collina
a
vedere il panorama della città come nei migliori film di Hollywood.
Ormai
George W. era sicuro di avercela fatta, cominciò ad armeggiare intorno
ai
botticini della camicetta di Jennifer, strappò gli ultimi due che non volevano
slacciarsi,
e passò al reggiseno che, si sa, è un po’ come l’esame di laurea
per un
playboy. Dopo 35 minuti George W., le
mani ormai spugnose, era
ancora
lì a maledire in texano l’inventore del fermaglio tanto che Jennifer
decise
di tirar fuori i due seni e offrirglieli dal balconcino, come si fa con i
neonati.
George
W. ringraziò timidamente e lasciò scivolare la mano sotto la gonna
finchè
non incontrò le mutandine. Ancora un piccolo passo e avrebbe potuto
pronunziare
le storiche parole di Armstrong:”Questo è un piccolo salto, ma un
grande
passo per l’umanità!” Non fece in tempo a finire la frase che sentì uno
scatto
e riuscì a malapena a soffocare un improperio in texano. Era scattata
la
tagliola della cintura di castità che l’amico, evidentemente non fidandosi ne
di
Jennifer ne delle sue frequentazioni,
aveva pensato bene di far indossare
alla
ragazza.
Silvio
e George W. si lasciarono con grandi pacche sulle spalle e sorrisi a
180
gradi per le troupe televisive di tutto il mondo, ripromettendosi di rivedersi
di lì
a breve in un’altra rimpatriata. George W. propose a Silvio di portare le
mogli,
eventualmente avrebbero potuto anche scambiarsele per una notte,
ma lì
Silvio, guardando Veronica e la foto della signora Bush, fu un pochino
più
reticente dato che, nel cambio, aveva solo da rimetterci. George W. fece
omaggio
a Silvio di un pupazzetto di Charlie Brown, Silvio ricambiò commosso
con un
peluche della Trudi e una bottiglia di limoncello e salì sull’aereo.
Purtroppo
quello che l’uomo propone, Dio dispone. George W. aveva appena
prenotato
il miglior tavolo da gioco a Las Vegas per il 15 settembre 2001 che,
l’11
settembre fu preso di peso dalle sue guardie del corpo e caricato sull’Air
Force
One con moglie e pupazzi di peluche. A nulla valsero le sue proteste
e
richieste di spiegazioni: era ormai convinto che la moglie volesse portarlo
dal
suo dentista di Los Angeles per quella fastidiosa pulizia dal tartaro, che
gli
venne accesa davanti una televisione
appena in tempo per vedere la
seconda
torre crollare. Non osò chiedere nulla, si dette un violento cazzotto
sugli
attributi per vedere se era sveglio ed esclamò solo “My God!!!”.
La
vista di quel polverone, della gente che scappava, il vuoto lasciato dalle
Twin
Towers gli dettero modo di scoprire il punto G del dolore, una fitta
lacerante
alla bocca dello stomaco e un dolore diffuso pungente e diffuso
dietro
le spalle, l’apoteosi dell’impotenza, lui, il Presidente della Nazione
più
potente del mondo. Si sentì improvvisamente nudo come un verme,
iniziò
a tremare come un fuscello sotto il peso di quello che stava accadendo
e
preda di una rabbia senza fine. Prese il Trudi che gli aveva regalato
Silvio,
si ficcò il pollice in bocca e gli occhi fissi nel vuoto ordinò di virare
e
tornare a Washington. Ognuno di noi di fronte a fatti eccezionali ha
comportamenti
parossistici: c’è chi salva decine di persone e alla fine
della
giornata si scopre eroe, chi rifiuta la realtà e vorrebbe tornare
nel
grembo materno, cercando il massimo della protezione rifiutando
l’accaduto.
George W. rimase vittima di un paio di violente crisi di nervi
durante
il viaggio di ritorno a Washington, pestò i piedi per terra provocando
all’aereo
seri problemi di stabilità, cercò di rompere il carrello delle vivande
e di
violentare un’hostess, ma stranamente, quando gli dissero che a provocare
quel
casino era stato Bin Laden e le sue maestranze tornò improvvisamente
calmo.
Chiamò
Condor Liza, riunì lo stato maggiore dell’esercito, della Marina e
dell’Aviazione,
riunì l’ONU in seduta plenaria e annunciò “Attaccheremo l’Iraq
e
annienteremo Saddam Hussein!” Un paio di membri del Consiglio di Sicurezza
provarono
a dirgli che nulla provava una complicità tra Bin Laden e Saddam
Hussein,
ma furono presi a calci in culo e una volta a Washington obbligati a
pagarsi
un biglietto di sola andata per un soggiorno di due anni a Guantamano.
I
giorni che seguirono furono convulsi, George W. partecipò alla
commemorazione
delle vittime e alle cerimonie funebri e non potè quindi
dedicarsi
ai suoi giochi preferiti con i peluche e i soldatini, in compenso
fece
in tempo a vendere tutte le azioni della Enron prima del suo fallimento.
La
cosa gli fece tornare un po’ di buonumore e con questo la lucidità sul da
farsi.
Cominciò
a fare mente locale su Osama Bin Laden. “Osama…Osama…” quel
nome
non gli era nuovo…Ma sì, aveva 10 anni quando il padre lo portò in
vacanza
in Arabia, nel Club Mediterranee di Gidda, sul Mar Rosso.
Vicini
di ombrellone erano uno sceicco con dodici mogli e ventisette ragazzini
di età
variabile tra i 6 mesi e i 19 anni. Uno di questi si chiamava Osama,
aveva
la sua età e si divertiva a fare castelli di sabbia per poi distruggerli
tirandoci
contro modellini di aeroplano. Quel gioco piaceva a George W.
che
provò un paio di volte ad avvicinarsi amichevolmente al piccolo arabo;
ma
alle sue richieste di partecipare al gioco veniva sempre sfanculato in
una
lingua che non capiva e doveva tornare sotto l’ombrellone con le pive
nel
sacco a giocare con gli stampini. Alla quinta richiesta, Osama, più per
metter
fine a quella lagna che per convinzione lo accettò nel gioco, ma con
la
promessa che sarebbe stato lui a capo delle operazioni e a dare gli ordini.
George
W. fece buon viso a cattivo gioco e acconsentì di malavoglia.
Ben
presto cominciarono a sorgere dei malumori, Osama tirò un modellino
di
aeroplano verso George W. centrandolo nel pieno di un occhio, George W.
distrusse
a calci due castelli costruiti da Osama, i due si accapigliarono,
scoppiò
un parapiglia generale che vide coinvolte le due famiglie al completo
con i
lattanti che, in attesa di diventare grandi, facevano enormi e maleodoranti
rigurgiti
contro i componenti della famiglia Bush. Da quel giorno, per il resto
delle
vacanze, le due famiglie si guardarono in cagnesco mormorando insulti,
quella
in arabo, l’altra in texano; delle due la famiglia Bin Laden era
sicuramente
la più agguerrita, al punto di occupare tutte le ombre degli
ombrelloni
nel raggio di 500 metri quadrati, ombra Bush inclusa.
Quella
vacanza si concluse in un incubo: tutti i Bush tornarono negli USA
rossi
come gamberi con ustioni sulla pelle del secondo grado, George W.
oltre
alle ustioni rimediò un colpo di calore che lo fece rimanere in coma
per
due giorni e durante il coma vide la Madonna, Ali Babà con 39 ladroni
e lui
lì a fare il quarantesimo, il feroce Saladino e Gary Cooper. Quando si
risvegliò
dal coma, il padre, sollevato, gli fece una carezza su un’ustione
e dopo
aver cacciato un urlo sovrumano ripiombò in un sonno profondo.
Osama
continuò ancora per qualche anno a frequentare con la famiglia il
Club
Mediterranee di Gidda; ormai i Bin Laden gestivano in proprio una
porzione
di spiaggia grande quanto Lampedusa e qualche volta subaffittavano
gli
ombrelloni a famiglie americane che, nonostante nelle ore canicolari non
si
muovessero dall’ombra e facessero corpo unico con l’ombrellone, tornavano
negli
Usa alla fine della vacanza con ustioni di quarto grado. Era successo
che
Osama aveva ideato un congegno di specchi multidirezionale che dalle
10,30
della mattina alle 6 del pomeriggio era puntato ininterrottamente sui
malcapitati;
come non bastasse, a turno ognuna delle dodici mogli dello sceicco
cominciava
a truccarsi orientando un piccolo specchio ovale, guarda caso,
sempre
verso la stessa famiglia. I primi due giorni gli americani tornavano
in
albergo euforici, complimentandosi a vicenda per la stupenda abbronzatura,
poi
qualcuno cominciò a squamarsi, comparirono le prime piaghe, dopo
qualche
giorno i poveretti erano fasciati come mummie in preda a spaventosi
decupiti,
ma per non sprecare i giorni della sospirata vacanza e per non
perdere
la priorità acquisita sull’ombrellone continuavano a timbrare il
cartellino
dello stabilimento.
Osama
già da allora, dimostrava una
particolare predisposizione per le armi,
soprattutto
non si separava mai da un modello di mitra Kalashnikov a
piombini,
regalo della prima masturbazione. In Arabia infatti si usa
considerare
la prima masturbazione come una specie di perdita della
verginità
e si usa fare un regalo, naturalmente rapportato alle possibilità
della
famiglia. Tenete presente che la prima masturbazione di può fare
solo
entro i 18 anni, cioè prima della maggiore età, e in quel caso i ragazzi
vengono
premiati. Diversamente,dopo i 18 anni sesso va bene, ma solo
con le
proprie mogli che comunque possono essere anche centinaia, e
niente
maiale.
Tornando
a bomba, e mai termine fu più appropriato, Osama si portava
ovunque
il suo Kalashnikov, anche quando andava a dormire, appoggiato
al
comodino, così come i bambini occidentali si portano a letto un orsacchiotto.
Di
giorno invece si divertiva a impallinare il roseo culetto dei fratellini all’uscita
dal
bagno o il padre sul più bello di un amplesso. Questo fa capire come
Osama
Bin Laden non abbia avuto mai le idee molto chiare sul punto G;
l’altro
è che difficilmente troverete la G nell’alfabeto musulmano, quindi
per
loro il problema non si pone neanche.
A un
certo punto di Osama si persero le tracce finchè non ricompare
nella
cronaca nera di un quotidiano arabo come principale indiziato
della
morte di 14 fratelli e 7 tra madre e matrigne. Era successo che
Osama
aveva acquistato uno scuola-bus di seconda mano e aveva
convinto
i familiari a festeggiare facendo un giro lungo la costa. Fatto
qualche
chilometro aveva accostato il pulmino, era sceso e aveva
comunicato
a tutti di aver bucato. I fratelli e le donne lo guardarono
da
sotto i turbanti e, sebbene all’interno la temperature rasentasse i
55
gradi, continuarono le loro discussioni come se niente fosse, gli
uomini
a parlare del campionato arabo scommettendo su Al Tottul
capocannoniere,
le donne dell’ultimo concerto di Al Baglion.
Incazzato
come una bestia Osama, aprì il cofano, ci infilò dentro 20 chili
di
tritolo che portava sempre con se, accese la miccia e si allontanò.
Qualche
istante dopo al posto dello scuola-bus c’era un cratere profondo
8 metri
e un penetrante odore di arrosto. Riuscì a far perdere le proprie tracce.
Fu
segnalato a Parigi a imbrattare tele a Montmartre, a Roma a vendere
collanine
di plastica e, quando se la passava male a denaro, a pulire i vetri
prendendosi
le contumelie dei proprietari delle auto, imbufaliti per l’ingorgo,
in
Cecenia a montare infissi.
Insomma
la frustrazione montava e la rabbia anche.
Mise
insieme un gruppo di musulmani incazzati come lui chiamandolo Al Qaeda
e,
dopo aver preteso dal padre un bonifico di qualche milione di dollari per
il
servizio compiuto qualche anno prima al pulmino, si arrampicò sulle
impervie
montagne dell’Afganistan. Da lì partirono gli ordini per l’11
settembre
e per altri sanguinosi attentati.
Col
tempo Al Qaeda è diventata potentissima e si è ramificata in tutto
il
mondo, anche in quello occidentale, creando cellule di persone pronte
a
tutto e introvabili come la famosa Primula Rossa. Conscio che sulla sua
testa
ci fosse una taglia miliardaria posta dal governo Usa , Osama ha
incaricato
le cellule di trovare una dozzina di individui che gli somigliassero
e,
dall’11 settembre 2001, per quattro volte ha suggerito all’FBI dove
poterne
trovare uno. Il meccanismo si è rivelato ingegnoso. Quando il
cassiere
di Al Qaeda telefonava avvertendo che il conto era prossimo
al
rosso, Osama prendeva il cellulare e, in perfetto slang texano, comunicava
al
capo dell’FBI dove poteva trovarsi Bin Laden.
Immediatamente scattava
l’allarme
rosso su tutto il territorio americano, nella città in questione venivano
chiusi
i negozi, le chiese e i pip-shops, indetto il coprifuoco, cecchini con
fucili
ad alta precisione venivano piazzati sui tetti del quartiere interessato
e in
ogni angolo di isolato, le Giubbe rosse a cavallo fatte accorrere in prestito
dal
Canada, venivano mandate a pattugliare con noncuranza le strade.
Ormai
il presunto Osama Bin Laden non poteva più scappare e infatti
veniva
arrestato e pestato di santa ragione. Quando il malcapitato gonfio
di
botte e nero di lividi cercava di farfugliare con parole incomprensibili la
propria
innocenza, l’FBI acquisiva la certezza che quello fosse veramente
Osama
Bin Laden.
“E’
lui, parla anche arabo. C’è bisogno dell’ interprete” comunicava il Capo
alla
Sede Centrale dopo aver constatato che la barba non era posticcia.
Immediatamente
veniva dato ordine al Tesoro americano di bonificare la
taglia
promessa su un conto di una società di produzione di noccioline
americane
alle Bahamas.
Solo
dopo qualche giorno, quando passato il gonfiore e tutto incerottato, il
presunto
Osama era in grado di inanellare una serie di contumelie in perfetto
slang
newyorchese cominciava a serpeggiare negli uffici dell’FBI il sospetto
di
aver preso la persona sbagliata e con tante scuse e un calcio in culo veniva
rispedito
ai patri lidi.
Con
questo stratagemma, Bin Laden non si è mai fatto mancare nulla sulle
montagne
di Kabul, dal caviale alla parabolica. Quello che è incomprensibile
è come
mai l’FBI non abbia ancora cambiato la scaletta programmata e cioè
prima
verificare l’identità del prigioniero e poi fare il bonifico della taglia.
Ogni
tanto, esattamente quando dalle statistiche risulta che il consumo dei
tranquillanti
si sta abbassando e le case farmaceutiche minacciano di chiudere
bottega,
il governo Usa riporta l’allarme al livello arancione pronosticando
un
prossimo attentato da parte delle cosiddette “cellule dormienti” di Al Qaeda.
Così
ritorna lo stress, nessuno prende più l’ascensore e la mattina le facciate
dei
grattaceli sono piene di impiegati che si arrampicano come l’Uomo Ragno
ed
entrano in ufficio dalla finestra, il consumo dei tranquillanti riprende a
salire.
Ma
cosa sono le cellule dormienti? Allora, è bene sapere che ogni cellula è
composta
di almeno sei uomini, tutti musulmani. Ma questi, essendo prima
uomini
che musulmani, costretti come sono a dormire finchè non squilla il
cellulare
con qualsivoglia ordine, ogni tanto decidono autonomamente di
svegliarsi
e andare a cena fuori, magari palpeggiando qualche signorina
compiacente
tra fiumi di birra e vodka. Le restrizioni della religione
islamica sono drastiche, soprattutto per
quanto riguarda la carne di
maiale,
così tutti ripiegano sui fagioli, una steak di manzo, patatine
fritte
e purea. Un cocktail micidiale, soprattutto quando si incontrano
birra
e fagioli con l’effetto moltiplicato dal lungo digiuno. La mattina
dopo
la stanza della cellula è satura del venefico gas culino, di cui
solo
gli uomini di Al Qaeda hanno l’antidoto. Se l’allarme arancione
era
campato per aria la cellula neanche si sveglia, continua il letargo
forte
del siero preso in precedenza e, al massimo, gli uomini si sveglieranno
con un
forte cerchio alla testa e un po’ di nausea.
Se
viceversa effettivamente l’allarme era giustificato, tutti si svegliano
alle
6, nessuno va al bagno e si presentano alla stazione della metropolitana
rossi
come gamberi per lo sforzo di trattenersi ma sicuri di non essere
riconosciuti
come arabi. Una volta uno di loro fu persino scambiato per
irlandese
per via del suo colorito paonazzo.
Una
volta sparpagliatisi nei vagoni zeppi di gente che si reca al lavoro,
si
lasciano andare e si liberano del potentissimo gas. Pochi secondi e
intorno
a loro non c’è più anima viva.
Non
potendo arrivare a in tempi brevi a Bin Laden, Bush cominciò a
prendere
di petto Saddam Hussein. “Ha gli arsenali pieni come uova
di
armi chimiche e noi dobbiamo combatterlo perché solo così sconfiggeremo
il
terrorismo”.
Gli
Americani, che hanno sempre un gran bisogno di frasi ad effetto
applaudivano
e tornavano a casa tranquilli tanto che Bush continuava
a
salire nei sondaggi di gradimento per le imminenti elezioni presidenziali.
In
realtà George W., che, ricordiamo, non ha mai brillato per ingegno,
pensava
di fare un’autentica passeggiata in Iraq impadronendosi senza
troppo
sforzo dei pozzi di petrolio e poi calare questo punto pesante al
momento
del voto sulla presidenza. Cappello alla Ringo in testa, non
riusciva
a fare discorso senza usare toni minacciosi verso Saddam: una
volta,
al ristorante, fu colto dal cameriere soprapensiero e gli ordinò un
piatto
di “costolette alla Saddam”, sotto Natale andò a fare shopping di
regali
e gli parve di riconoscere il leader iracheno sotto le mentite spoglie
di un
Babbo Natale. Scoppiò un parapiglia sedato a stento dagli uomini
della
sicurezza e il Babbo Natale gli stracciò sotto il naso la letterina che
aveva
ricevuto da George W. con la richiesta di 27 peluche differenti.
Insomma,
Saddam Hussein era in cima a tutti i suoi pensieri, fu visto più
volte
dalla moglie alzarsi nottetempo e passeggiare per le stanze della
Casa
Bianca bisbigliando “Gli faccio un culo così…” e amenità simili,
cominciò
a mangiarsi le unghie e a soffrire di incontinenza. Sempre
preda
dei suoi pensieri faceva gesti inconsulti, del tipo versare il parmigiano
nel
bicchiere e condire la pasta con il “Novello” finchè non si decise a
convocare
l’ONU in seduta plenaria per dare una parvenza di legalità
a
quello che aveva deciso da tempo.
Con la
fida Condor Liza a fianco ordinò di passare al setaccio l’Iraq,
trovare
le armi chimiche che sicuramente possedeva, ordinare a Saddam
di
distruggerle o consegnarle e tornare con quanti più fusti di benzina
possibile.
Poi telefonò ai governi alleati per raccogliere le adesioni alla futura
manovra
di forza: Blair neanche alzò il ricevitore e rispose:”OK”, Berlusconi
appena
ricevette la richiesta di George W. ebbe un attimo di titubanza
durante
il quale gli venne ricordata la solita storia del sacrificio e l’aiuto
degli Americani
durante la seconda guerra mondiale che richiedeva
riconoscenza,
si mise sull’attenti e proclamò:”Siamo con voi!”, Aznar, in
vacanza
a Marbella gonfiò la ruota come un pavone e gli mandò una foto
col
cellulare con la dedica “Grazie di esistere!”, la Germania nicchiò e alla
fine
concesse a malavoglia lo spazio aereo per il decollo delle truppe, la Francia
lo
mandò in coro a quel paese riunita in seduta plenaria sui Champs Elisee. La
Turchia
provò a defilarsi, ma appena le venne ricordato il debito in dollari
fece
buon viso a cattivo giocò e promise il suo appoggio.
Quando
gli ispettori ONU bussarono alla porta di Saddam Hussein lo
trovarono
in pigiama a fare colazione intingendo bastoncini Findus nel latte.
Cortesissimo
e sorridente il leader li invitò a partecipare, ma declinarono
all’unisono
soffocando un conato di vomito. Saddam si fece la barba,
indossò
la sua logora divisa da generale e scusandosi per averli fatti
aspettare
si mise a disposizione. Gli ispettori gli controllarono le orecchie,
la
lingua, ficcarono a turno il naso sotto le ascelle, un ispettore novizio,
ancora
in prova, fu incaricato di smucinare nelle parti intime poi tutti insieme
verificarono
il grado di allarme registrato.
Telefonarono
subito a Bush:”Finora nessuna presenza di armi chimiche
accertata”.
“Cercate meglio, DEVONO esserci!” fu la risposta dall’altra parte
del
filo. Saddam si era sottoposto di ottimo umore a quella prima fase
dell’ispezione,
aveva riso con gusto per il solletico, aveva intrattenutogli
ispettori
con barzellette che, raccontate nella sua lingua, nessuno aveva
capito
ma che furono tutte chiuse da una melliflua risata generale.
Si
passò allora alle domande dirette:”Lei, Saddam, ha mai fatto uso
di
armi chimiche?”. Sempre gentile, rispose:”Sì, forse una volta, in un
villaggio
curdo, ma credevo fosse fertilizzante…Avevo quelle che mi
aveva
dato l’America da usare in Iran, ma erano scadute e le ho gettate
negli
appositi contenitori…”. Sempre più imbarazzati, gli ispettori decisero
di
andare a buttare un’occhiata in giro, ma senza risultato. Solo qualche
mortaretto
e dei fumogeni di una ditta di Napoli. Se non fosse stato per i
giacimenti
di petrolio presenti ovunque e la presenza di un’infinità di capre
in
luogo delle mucche, l’Iraq poteva essere scambiato per la Svizzera.
Tornati in America, relazionarono Bush
sull’ispezione, ma quando
George
W. venne a sapere che le ricerche di armi chimiche erano state
infruttuose
si incazzò come una bestia e spedì tutti a meditare a Guantamano.
Poi
radunò l’ONU e proclamò con fare saccente:”Le ispezioni sono state
infruttuose
perché Saddam Hussein, peste lo colga, ha saputo nascondere
molto
bene le armi chimiche, ma, believe me
(fidatevi)- e lo disse con la
mano
sul cuore e facendo forti cenni di assenso con la testa- esse ci sono
e
l’Iraq è pronto ad usarle! Da questo momento, siamo in guerra e lo
saremo
finchè non avremo liberato l’Iraq da quel tiranno!”.
Saddam
fu svegliato di soprassalto dalla prima esplosione su Bagdad,
provò
a riprendere sonno infilandola testa sotto il cuscino, ma seguirono
altre
esplosioni e decise di alzarsi e andare a vedere cosa succedeva.
Era
buio, e in successione riusciva a vedere solo qualche bagliore, ora
più
vicino, ora un po’ più distante. Decise di sintonizzarsi sulla televisione
italiana,
trovò Raiuno e ascoltò sbadigliando le parole di Bruno Vespa:
parlava
di guerra, di aerei USA che bombardavano e ogni tanto si voltava
verso
un grande schermo dove si vedeva una giornalista, Lilli Gruber,
che
parlava in modo concitato e ogni tanto mollava un poderoso calcio
nel
sedere a qualcuno della sua troupe, smortacciando perché veniva
ripreso
per dritto e non di traverso come gradiva. Aveva capito che c’era
una
guerra, ma dove? Decise di inforcare gli occhiali e alzare il volume
per
capirci meglio, ma dalla stanza affianco una delle mogli cominciò a
battere
sul muro con una ciabatta urlando:”Insomma, è tardi, vuoi abbassare!!!”
Decise
di tornarsene a letto e, per essere sicuro di dormire, ingoiò dodici
pasticche
da un flaconcino. Il sonno non venne, ma in compenso cominciò
ad
avvertire dei movimenti inguinali sempre più violenti, vere e proprie
doglie,
si alzò nuovamente dal letto e corse al bagno appena in tempo…
La
funzione si ripetè altre dieci volte, sempre accompagnata da violenti
strizzoni
allo stomaco, andò in cucina a controllare la data di scadenza
dei
bastoncini Findus, stava lì che cercava di capire il perché di quel
malessere
che una violenta esplosione si confuse con i rumori che gli
uscivano
dai pantaloni e provocò la caduta di un’ala del palazzo:”Cazzo,
cosa
ho combinato!” pensò.
Quando
la mattina dopo lesse i giornali, non riuscì a credere ai suoi
occhi:gli
Americani avevano bombardato Bagdad e lui non si era accorto
di
nulla…Cominciò a rimestare nella coscienza se per caso avesse fatto
qualcosa
di veramente grave: sì aveva riciclato barili di benzina normale
spacciandola
per super senza piombo, aveva fumato il sigaro in presenza
degli
ispettori ONU, aveva fatto mettere miccette puzzolenti nella cassetta
delle
lettere di alcune Ambasciate occidentali, ma per quanti sforzi facesse
non
riusciva a trovare nulla che potesse giustificare un intervento armato.
Accese
la televisione e si sintonizzò su Aljazeera; i carri armati americani
erano
a 100 km da Bagdad e alcuni soldati venivano ripresi mentre si facevano
la
doccia con il petrolio di un giacimento. Capì che la situazione era grave,
indossò
la migliore sahariana , chiamò a raccolta mogli e nipoti e annunciò:
”Vado
a prendere i sigari”. Uscì e si confuse tra la folla.
Lo
trovarono gli Americani dell’Intelligence, qualche mese dopo,
in
seguito ad una segnalazione comparsa sul seguitissimo programma
televisivo
italiano “Chi l’ha visto?”; una voce da donna che parlava
un
italiano perfetto aveva segnalato un tizio molto simile all’identikit
fornito
dall’FBI frugare nei cassonetti dell’immondizia vicino Bagdad.
Aveva
preso l’autobus con lui, sempre tenendolo d’occhio, ma ne aveva
perso
le tracce quando,dopo un paio di fermate erano saliti i controllori.
Evidentemente
il tizio non aveva fatto il biglietto perché scese dall’autobus
al
volo e lo vide dirigersi verso un casolare alla periferia della città.
“Signora,
lei è in grado di riconoscere quel casolare?”, domandò la
conduttrice.
“Assolutamente sì” fu la risposta.
Tempo
12 minuti il casolare in questione era stato individuato e circondato,
squadre
d’assalto speciali si erano dislocate tutte intorno aspettando solo
il
comando per fare irruzione, George W. Bush stesso comandava l’operazione
ciucciando
nervosamente un lecca-lecca. Al via le truppe speciali, al grido
di
attacco degli indiani d’America, fecero irruzione. Saddam Hussein con
la
barba incolta e la sahariana ormai lisa non fece neanche in tempo a
chiedere
se avevano mezzo dollaro che si trovò imbavagliato e legato
come
un salame, con una cinquantina di mitra puntati contro e un tizio
che si
divertiva a staccargli i capelli e i peli della barba per le prove del DNA.
Gli
interrogatori furono un supplizio. Gli venne infilato un limone in bocca e
un
ramoscello di rosmarino lì dove ci si siede e gli fu ordinato di sillabare
grugnendo
in modo chiaro il proprio nome, fu
costretto a recitare il Corano
saltando
su una gamba sola, dovette guardare per tre giorni e tre notti di
fila
le VHS con le registrazioni di “Porta a porta” e imparare a memoria la
mappa
dei nei di Bruno Vespa. Fu una liberazione quando il governo degli
Stati
Uniti ne ordinò l’estradizione e lo impacchettò con destinazione
Guantanamo,
cella di massimo isolamento. Ma durò poco: una sera
Saddam
chiamò il custode di turno e quando quello fu nella cella gli
intimò
con aria misteriosa:”Chiudi gli occhi e apri la bocca”; l’altro obbedì.
Quando
riaprì gli occhi, dopo una manciata di secondi, Saddam Hussein
non
c’era più, guardò sotto il letto, dietro la porta, niente. Al posto di guardia
gli
dissero che era uscito solo un vecchio dalla barba lunga che aveva
detto
di chiamarsi Abate Faria.
Gli
anni che seguirono non furono facili né per gli iracheni, né per le
forze
occupanti. Le diverse etnie si sparavano tra loro memori di un
passato
di odio e di rancori e tutte insieme sparavano contro le forze
della
coalizione. Ci furono villaggi di contadini rasi al suolo e pozzi
petroliferi
incendiati che continuarono a bruciare per mesi, finchè non
venne
finalmente formato un governo composto per metà da iracheni
e per
metà da americani che avrebbero dovuto guidare i colleghi sulla
strada
della democrazia in una specie di scuola guida politica.
Come
per incanto le violenze cessarono e il popolo iracheno si dedicò
finalmente
alla ricostruzione. “…e che siamo, più stupidi degli altri?”,
“Gli
facciamo vedere noi cosa siamo capaci di fare…”si sentiva mormorare
per le
strade. E tutti giù a lavorare e sudare come bestie.
Furono
chiamati i migliori ingegneri e architetti, profumatamente pagati
in
petroldollari, fu istituito un Ufficio di collocamento con file veloci per
la
nuova mano d’opera, la Borsa di Bagdad si collocò per due anni
consecutivi
ai vertici della classifica mondiale con performance che
sfioravano
il 400 per cento, le donne abbandonarono il velo e cominciarono
a
vedersi le prime minigonne.
Era
l’ultimo giorno di Carnevale del 2012 e Bagdad era sfavillante di
colori,
musica,insegne luminose, night club, sale da gioco, club privee
e
locali da spogliarello. La notte era diventata piccola per Bagdad da
qualche
anno a quella parte; di giorno il traffico si manteneva caotico
ma era
ben supportato dalle due linee di metropolitana che in dieci minuti
congiungevano
i quattro capi della città. Il commercio era rifiorito trainato
dalle
punte forti del Paese: il petrolio e l’agricoltura.
L’Iraq
si era preso tutti i benefici dell’occidentalizzazione, al punto di
trasformare
la Capitale in una nuova Las Vegas; con il benessere erano
arrivate
anche le piccole seccature di cui una volta erano vittima i Paesi
più
industrializzati. Ora non era raro vedere ai semafori qualche
Occidentale
avvicinarsi alle macchine in sosta per pulire il vetro,
gommoni
stracarichi di italiani, spagnoli e tedeschi arrivavano nottetempo
ad
approdare sulle rive del Mar Rosso e scaricavano donne e uomini
infreddoliti
ma carichi di speranze, gli americani si erano radunati in un
ghetto
alla periferia della città e, dal tramonto in poi, era sconsigliato
avventurarcisi
senza una guida o con troppi soldi addosso.
Ai
semafori torme di svizzeri, francesi e
italiani specializzati in
Odontoiatria
si bussavano ai finestrini delle potenti auto irachene
Armati
di spazzolino da denti e dentifricio, pronti a offrire i loro umili
Servigi
per pochi centesimi. Mentre nei lussuosi appartamenti ci
si
preparava per l’imminente pigiama party, lungo le strade del centro
i
clochard europei e americani si aggiustavano i cartoni per la
notte.
Ma
queste erano inezie facilmente tollerate dagli iracheni che si limitavano
a
scrollare le spalle e a continuare per la loro strada. Al calar della sera,
dopo
l’ora della preghiera e una rapida cena, instancabili, eccoli di nuovo
in
strada a organizzare festose gimkane su lussuose fuoriserie per approdare
il
prima possibile in un locale di strip-tease, in una discoteca, in una sala da
gioco,
per non perdersi neanche un attimo di divertimento.
Il
tutto in una fantasmagoria di luci, musica, grattacieli illuminati a giorno
e
belle donne.
George
W. Bush aveva deciso da tempo di festeggiare il martedì grasso
proprio
a Bagdad e per farlo aveva invitato tutti gli amici di un tempo in
una
festa mascherata nel locale più
esclusivo di Bagdad: il “G Point”.
Situato
nel cuore della Bagdad notturna, questo locale era frutto dell’inventiva
di un
architetto e un ingegnere giapponesi; da lontano, per maestosità e
forma
sembrava il Colosseo senza finestre, avvicinandosi si potevano
apprezzare
i marmi Rosa del Portogallo di cui era rivestito tutto l’esterno
e lo
stile sinuoso, sul genere di alcune sculture del Gaudì. Vi si accedeva
attraverso
un enorme porta azionata da cellule fotoelettrica capaci di
captare
la presenza umana da un metro di distanza, ma questo non
bastava
perché si aprisse; percepita la presenza, si apriva uno sportello
laterale
dove si doveva infilare la mano come nella Bocca della Verità
e
rispondere perfettamente a una domanda posta da un nastro registrato.
Le
domande erano banali in modo da permettere l’accesso a chiunque
avesse completato gli studi elementari.
Una
volta completate queste formalità era possibile l’accesso all’interno.
Una
volta abituati gli occhi all’oscurità e alle luci psichedeliche,
l’avventore
rimaneva letteralmente a bocca aperta: al centro una
pedana
rotonda con diametro di cento metri e pavimento in cristallo
temperato
era destinata al ballo, tutto intorno poltrone e divanetti in
pelle
disposti in modo tale da formare tanti comodi salottini, da un punto
del
muro partiva una scala ad ampi gradoni che, sviluppandosi a gironi
concentrici
stile Guggenheim per tutta l’altezza della parete portava fino
al
terzo e ultimo piano. Lungo la scala slot machine, flipper, videogiochi
di
ogni genere erano l’alternativa per chi preferiva il gioco al ballo. Da
ogni
piano si accedeva in un ulteriore locale
insonorizzato dove si potevano
ascoltare
altri generi di musica, da quella anni 60-70, al piano bar, al jazz
e via
dicendo.
I muri
erano tappezzati di manifesti cinematografici dei più bei film occidentali
dal
tempo dei fratelli Lumiere: dal genere brillante del piano terra, si passava
al
drammatico, poi al western, all’horror, fino al genere di fantascienza
dell’ultimo
piano. Non mancava un manifesto rarissimo del celebre film
“La
corazzata Potemkin”.
Dal
soffitto una palla enorme composta da lamelle prismatiche
irradiava
in ogni dove le luci a intermittenza dei faretti colorati. Da questa
palla
quattro funi assicuravano una piattaforma immediatamente sottostante
ma a
trenta metri dal suolo, anche questa in cristallo temperato; l’accesso
era
possibile direttamente da terra per mezzo di alcune liane. Qui i più
coraggiosi
o scriteriati potevano scatenarsi a ballare provando l’ebbrezza
di
essere sospesi nel vuoto e il brivido freddo del pericolo dato che non c’era
alcuna
balaustra a protezione di un’eventuale caduta. Ecco il motivo di un
plotone
di ambulanze ferme in pianta stabile davanti al locale.
George
W. arrivò al G Point verso le 21, in tempo per fare gli onori da casa.
Aveva
affittato direttamente dalla NASA la tuta spaziale con cui Neil
Armstrong
aveva fatto i primi passi sulla superficie lunare mentre sua
moglie
Laura si era travestita da coniglietta di Playboy, con tanto di
pon
pon sul sedere e orecchie a punta, senza
tuttavia migliorare il risultato
finale.
Dopo averla guardata un attimo George W. aumentò per quanto
possibile
l’ampiezza della falcata e riuscì a tenerla a un paio di metri di
distanza
facendo finta di non conoscerla. Le scarpe sembrava fossero
inchiodate
al terreno, ma con uno sforzo di volontà ciclopico George W.
riuscì
a inanellare un passo dopo l’altro fino all’ingresso mantenendo il
vantaggio.
Sarà stata la fatica per arrancare così bardato, fatto è che
quando
si fermò per assolvere le formalità dell’ingresso, nonostante la
temperatura
si aggirasse intorno ai –5°, il
presidente degli Usa era sudato
come
un maiale e aveva cominciato a roteare le palle degli occhi per un
imminente
collasso. Fortunatamente l’equipaggiamento era dotato di una
bombola
esterna contenente 20 litri di acqua e collegata alla bocca con
un
tubicino, appositamente studiata per evitare casi di disidratazione.
Bush
trangugiò avidamente 10 litri d’acqua e si sentì meglio. Viceversa
la
signora Bush, vestita solo di un bikini, dei pon pon e di una calzamaglia
elasticizzata
color carne per mimetizzare i rotoli di ciccia cadente, per il
freddo
non riusciva a tenere ferma la dentiera che batteva a ritmi non
sincronizzati
con la mascella: questa infatti non riusciva a tenere il tempo
della
protesi e l’effetto era quello di uno dei volti raffigurati nella “Guernica” di
Picasso.
Per il troppo muoversi la dentiera finì per allentarsi e ad un contrarsi
più
violento schizzò fuori proprio nel momento in cui il marito aveva infilato
la
mano nella “Bocca della verità” per rispondere alla domanda d’ingresso.
Con un
rimbalzo finì proprio nella finestrella e dopo un istante George W.
si
riprese la mano con un urlo. Serrata sulle dita c’era la dentiera che forse
per
l’urto, forse per il freddo che ne aveva gelato i meccanismi, si era
bloccata
recidendogli due falangi. Per sdrammatizzare la moglie gli gettò
sullo
scafandro una manciata di coriandoli e, come Dio volle, riuscirono
ad
entrare.
Cominciarono
ad arrivare alla spicciolata i primi invitati. Tony Blair travestito
da
cagnolino dell’Eni entrò camminando carponi a quattro zampe con
due
protesi che azionava con la bocca in perfetta sincronia con il movimento
del
resto del corpo. La coda l’aveva amputata di netto a uno dei levrieri
della
Regina che vedendosi presentare il cane prediletto conciato in
quel
modo aveva subito dato la colpa a Camilla Parker depennandola
per
l’ennesima volta dal testamento; ecco entrare a spada sguainata la
maschera
di Zorro con dentro Aznar: lo spagnolo si è così calato nella
parte
che appena entrato disegna una zeta su due rarissimi manifesti
cinematografici
per poi deporre la spada su un pon pon di Laura Bush
e
passare ai saluti. Arrivano Putin in tenuta da panda e Sylvester Stallone
in un
originale travestimento da Rambo, arrivano gli impiegati della Enron
tutti
con lo stesso travestimento da accattoni ma vengono subito ricacciati
fuori
dalle guardie del corpo perché si scopre che la loro non è una maschera
ma il
vestito di tutti i giorni. Arrivano attori di Hollywood e premi Nobel, stelline
della
carta patinata ed esponenti del Clero, arriva Rocco Siffredi in costume
adamitico
seguito a ruota da Condor Liza Rise travestita da avvoltoio.
Solo
verso metà serata, giustificati per un improvviso sciopero della
compagnia
aerea Alitalia, arrivano Berlusconi, Galliani, Confalonieri,
Emilio
Fede, Bossi e Fini.
Berlusconi
si era fatto confezionare da Ermenegildo Zegna per l’occasione
un
costume completamente azzurro da Puffo, in onore del suo partito
“Forza
Italia”, e guidava il plotone degli italiani seguito da Bossi in completino
verde
da Robin Hood con tanto arco e frecce e Fini travestito da mummia
egizia,
tutto avvolto nei bendaggi come un salame e solo il viso scoperto.
Galliani
si celava sotto le mentite spoglie di Diabolik, in tutina nera e incedere
da
ballerina della scala mentre Gonfalonieri lo affiancava vestito da
Winni the
Pooh e ogni tanto attingeva enormi cucchiaiate da un vaso di
miele
che aveva in mano. Tutto intorno uno sciame di perfide api dalla
puntura
micidiale cercava di partecipare al banchetto. Emilio Fede aveva
dato
il meglio di sé per trasformarsi in Jolly delle carte Modiano e a ogni
passo
tintinnava come un lampadario di Murano per via dei campanellini
che
gli adornavano il costume. Con un lieve ritardo sugli altri arriva anche
il
drappello della stampa composto da Bruno Vespa, Mario Tozzi e Tana
De
Zulueta dell’Economist. I tre sono stati attardati all’ingresso in quanto
le
cellule fotoelettriche non riconoscevano Tana De Zulueta (la traduzione
letterale
del nome è Nido di Bertuccia) come essere umano e poi perché
la
giornalista si era presentata in borghese. Viceversa Bruno Vespa era
travestito
da E.T., non appena il nugolo di api lo vide, scambiandolo per
un
affine, si spostò in sciame verso di lui e in un batter d’occhio ricoprì
festoso
ogni punto del viso lasciato libero dai nei. Infastidito Vespa cominciò
a
smanacciare a destra e a manca colpendo con due poderosi manrovesci
il
povero Tozzi, conciato per l’occasione da vispa Teresa e inviato da Gaia
per
studiare gli effetti della musica a palla sull’inquinamento ambientale.
Invece
del cestello Tozzi aveva portato con sé l’inseparabile piccozza che
non si
capiva bene a cosa potesse servirgli per quel genere di inchiesta.
Ne
fece comunque uso appropriato calandola un paio di volte sui denti di
Bruno
Vespa in cambio delle percosse e in breve l’ordine fu ristabilito.
Ormai
l’ambiente si era riscaldato, la festa poteva dirsi a piena regola iniziata,
le
piste da ballo erano invase dagli invitati che si scalmanavano al suono
dei
ritmi più ossessivi, coriandoli e cotillons formavano la cornice adeguata.
Galvanizzato
dalla riuscita del party e da qualche bicchierino di troppo,
George
W. Bush si era calato completamente nella parte dell’astronauta
e con
voce nasale chiamava a raccolta ora Berlusconi ora Blair per un
imminente
atterraggio su Saturno: “I want you!!” “I want you” (“Voglio te”
“Voglio
te”) motteggiava indicando ora l’uno ora l’altro alla maniera dello
Zio
Sam. Nel frastuono della musica Blair equivocò il gesto ed era ormai
rassegnato
a farsi sodomizzare quando Laura Bush, alzatasi per raggiungere
la
pista da ballo, gli pestò involontariamente la coda. Blair emise un guaito
rabbioso
e l’addentò su un pon-pon cominciando poi a sputare peli
microscopici
misti a catarro; finì per centrare Galliani in un occhio e
Bruno
Vespa su un brufolo. Schifato, lo sputo tornò indietro come un
boomerang
e finì la sua corsa sul naso azzurro di Berlusconi. Silvio
nel
frattempo era collegato per un’edizione straordinaria della RAI e
delle
TV Mediaset a reti unificate e, ricomposto il lifting, fece un
importante
messaggio elettorale alla nazione infischiandosene della
par
condicio e approfittando del fatto che Bossi si era stava cimentando
con
Condor Liza Rise in un ballo scatenato sulla piattaforma in alto del
locale
e Fini aveva chiesto a Confalonieri di accompagnarlo alla toilette.
Galliani,
nella vita Presidente del Milan, comunicò di aver chiuso un
importante
affare di calcio mercato acquistando Pelè. Il calciatore
sarebbe
stato sottoposto l’indomani alle visite mediche del geriatra
poi
sarebbe passato in Sede a firmare un miliardario contratto quinquennale.
Purtroppo
tutti si erano distratti perché in quel momento Emilio Fede,
impegnato
in una partita accesissima con una slot machine, aveva
lanciato
un grido sovrumano; era successo che, dopo aver dilapidato
un
patrimonio e chiesto un prestito alla
cassa, era riuscito a centrare
la più
difficile combinazione dell’infernale macchinetta: tre donne nude
allineate
insieme. Era stato inondato di monetine che, montando come
sabbie
mobili, lo stavano sommergendo fino ad impedirgli di respirare.
Immediatamente
accorsero Tozzi e Vespa. Tozzi riuscì ad aprirsi un varco
a
colpi di piccozza e a riprendere peri capelli il malcapitato mentre Vespa
preparava
un’edizione speciale di “Porta a Porta” sulla pericolosità del
gioco
d’azzardo. Fede non ringraziò neppure perché gli era sembrato
di
vedere Tozzi infilare una manciata di monetine nel costume da
vispa
Teresa e, appena fuori dal groviglio, prese il giornalista e lo
rivoltò
a testa in giù come un capretto. Dalle tasche uscirono un
cacciavite
e dodici chiavi inglesi, ma di soldi neanche l’ombra.
Nel
frattempo Bossi, fradicio di sudore come uno straccio, aveva messo
un
piede in fallo e pencolava dalla piattaforma bestemmiando in
mantovano
mentre Condor Liza imperterrita continuava a dimenarsi
come
una cubista al suono di musica afro-cubana. Il leader leghista
riuscì
a togliere una freccia dalla faretra del suo costume da Robin
Hood,
imbracciare l’arco e scoccarla centrandola nel fondo schiena:
finalmente
lei si accorse dell’accaduto, cercò con lo sguardo il suo
compagno
d’avventura che si dimenava cercando di guadagnare una
posizione
più tranquilla, e gli assestò un poderoso calcio che gli sconquassò
il
setto nasale. Nonostante tutto, Bossi riuscì a riguadagnare la piattaforma
e,
sanguinando copiosamente dal naso, giurò lotta eterna agli extracomunitari.
Non
andò meglio al collega Fini che si era appartato nella toilette con Fedele
Confalonieri.
Bardato come una mummia, Fini aveva difficoltà a muoversi,
anzi
per la verità non poteva usare né mani né piedi. Così chiese all’amico
di
srotolargli in fretta le bende perché era ormai vicino ad una crisi di
incontinenza:
tra attesa della partenza, volo e soggiorno a Bagdad non
pisciava
ormai da due giorni ed era ai limiti delle forze. Winni the Pooh
Confalonieri
cercò di fare più in fretta possibile, ma nella concitazione dei
movimenti
il vaso di miele si versò interamente sul bendaggio con un effetto
colla
a presa rapida più veloce del Bostik. L’altro finì col pisciarsi addosso
e si
rassegnò a portare quel costume per tutta la vita.
Sorte
quasi simile toccò a Bush per gli stessi motivi, ma, più previdente,
prima
di completare la vestizione da astronauta si era dotato di pannoloni
così
aveva potuto liberarsi senza ulteriori complicazioni. Senonchè non
riusciva
a spiegarsi come mai, piano piano, i suoi amici si erano allontanati
da lui
di una mezza dozzina di metri e a nulla valevano i suoi reiterati inviti
a
serrare le fila:”Come here boys” (Venite ragazzi) strillava a perdifiato per
coprire
il rumore della musica, ma nessuno si azzardava a tornare sui suoi
passi.
Rintoccò
la mezzanotte e nel frastuono generale,con i coriandoli sparati
da
cannoni verso il centro della pista, in un’orgia di divertimento, si aprì
nuovamente
la porta del “G Point” e si vide entrare uno spilungone vestito
da
Ringo, l’eroe dei western all’italiana, con in mano un Kalashnikov, un
cappellaccio
da cow boy calato sulla fronte, barba bianca e colorito scuro;
si
avvicinò al bancone del bar, ordinò un bicchiere di latte di capra, bevve
guardandosi
intorno con un’aria schifata, lasciò sul bancone la mancia e
una
VHS e uscì senza dire una parola tirandosi dietro l’inseparabile kalashnikov.
George
W. non fece neanche in tempo a mettere a fuoco dove avesse già
visto
quel tipo che entrò un’altra figura, in costume da Babbo Natale, si
guardò
intorno posando lo sguardo come trasognato prima sull’architettura,
poi
sulla scala su su fino in cima, infine su quella moltitudine di gente vestita
nei
modi più stravaganti scosse la testa con aria rassegnata e riguadagnò
l’uscita. Anche in questo caso a Bush sembrò di
cogliere in quello sguardo
qualcosa
di vagamente noto, provò a focalizzare meglio i propri ricordi
ma i
troppi bicchierini avevano formato una coltre ovattata tra i due
lobi del
cervello; decise che non era importante e continuò accigliato
e
inconcludente a fissare il vuoto.